Quando si pensa ai quartetti d’archi che suonano in un ambito strettamente improvvisativo, ossia senza idioma jazzistico, bisogna trovare punti di riferimento sia in quantità che qualità degli interventi. Dei quartetti d’archi nel jazz ve ne ho già parlato in un mio articolo passato (puoi leggerlo qui) e in quella sede accennai al lavoro di allontanamento prezioso dall’idioma jazz degli improvvisatori inglesi e portoghesi; si può senz’altro affermare che gli improvvisatori liberi hanno servito le due principali destinazioni dell’interplay, ossia la dialogicità o/e l’attenzione al suono, trasferendo nella loro espressione forme asemantiche e combinazioni timbriche capaci di