Molti oggi obiettano la scarsità o l’irrilevanza della funzione di ricerca nel comporre. Pur provenendo l’obiezione da fonti autorevoli, non si può comunque generalizzare il comportamento dei compositori, soprattutto quelli che hanno saputo mettere insieme temi, intuizioni, passioni, progettualità e studi specifici. Uno di questi è certamente Claudio Panariello (1989), di cui mi accorsi ben presto del suo valore già nel 2019 segnalandolo come compositore in possesso di uno stile definito, nutrito da riferimenti letterari e da un incredibile ottimismo nelle repliche oscure degli argomenti trattati (devi leggere qui); da allora Panariello ha continuato ad espandere le conoscenze, conseguendo un dottorato al KTH Royal Institute Technology di Stoccolma, approfondendo sui rapporti tra creatività e processi musicali adattivi, ed ora è rientrato in Italia come prezioso titolare di una cattedra annuale di elettronica al conservatorio di Torino.
Ci sono due direzioni che la musica di Panariello mostra di aver cura negli ultimi tempi e che contiene un ulteriore salto di qualità del suo approccio compositivo: la prima va a parare nel ‘feedback’ sonoro prodotto a due livelli, attraverso microfoni piantati dentro gli strumenti e/o attraverso unità esterne,