A chi non è in grado di cogliere le sfumature importanti della tabla opporrei di approfondire sull’antefatto e la lecture di Zakir Hussein ad Oxford nell’ottobre del 2022. In quei giorni Zakir venne invitato per ricevere un premio prestigioso, il Kyoto Prize, un premio che dal 1985 viene assegnato a coloro che si sono distinti particolarmente nelle arti e nella filosofia (a rotazione sono premiate le sezioni arti, musica, cinema e teatro, filosofia ed etica); nella musica, prima di Zakir, i vincitori del Kyoto Prize furono gente come Olivier Messiaen, John Cage, Witold Lutoslawski, Iannis Xenakis, György Ligeti, Nikolaus Harnoncourt, Pierre Boulez, Cecil Taylor, Richard Taruskin. Nell’antefatto del premio Hussein venne giustificato come colui che “…ha aperto un nuovo mondo musicale al di là della cornice della musica tradizionale indiana collaborando con musicisti di vari generi in tutto il mondo. La sua creatività innovativa, come l’ideazione di un metodo per suonare una melodia sulla tabla, tradizionalmente uno strumento ritmico di accompagnamento, ha ampliato significativamente le possibilità musicali dello strumento e ha reso la tabla uno degli strumenti asiatici più popolari al mondo…”.
La sintesi di questa celebrazione rileva in sintesi per due fatti, da una parte il crossover con il jazz, la fusion music e la musica popolare, dall’altra l’innovazione costruita su una coppia di tabla (baya e daya). Per quanto concerne il primo aspetto Hussain ha intercettato alcuni importanti passaggi del percorso artistico di John McLaughlin (Shakti), di Jan Garbarek (il trio di Making Music con il flauto di Hariprasad Chaurasia), di Mickey Hart (le partecipazioni ad alcuni suoi lavori e nel progetto Global Drum Project), di Bill Laswell (con il quale formò il Tabla Beat Science); quanto al secondo aspetto, Hussain ha messo a conoscenza di tutti le tecniche dello strumento e un linguaggio con cui suonarlo: una diteggiatura veloce e specifica sulle pelli, il raccordo con le note e con la tradizione degli strumenti hindustani, la dicotomia creata sulla coppia di tabla con funzione di linea melodica e di ritmo, i cambiamenti di intonazione dello strumento (una chiave che colpisce il perimetro esterno), la simulazione con un linguaggio vocale espressivo, etc. Se avete tempo di guardare la lecture di Hussain ad Oxford vi renderete conto di questi ed ulteriori aspetti spiegati con semplicità dal maestro indiano (il video in inglese lo trovi qui).
I suoi insegnamenti sono oggi molto seguiti e traboccano i sentieri dei generi, per uno strumento che Zakir ha reso persino solista in un concerto classico, infatti va attribuita a lui la paternità di Peshkar, un concerto per tabla con la Symphony Orchestra of India nel 2015. Nondimeno e al pari con tanti suonatori di tabla, Hussein ha mostrato la sua creatività e le abilità, stimolo che ritengo abbia raggiunto persino la composizione contemporanea negli ultimi vent’anni: seppur di piccola dimensione e in ritardo rispetto ai tempi, sulla tabla si è svegliato l’interesse di compositori come Hilda Paredes, Joan Gòmez Alemany e soprattutto Stefan Keller (che ha unito le forze con Aneesh Pradhan), offrendo ottimi auspici di un ampliamento delle scoperte attraverso l’esposizione al live electronics.
RIP Zakir Hussain