Qualche riflessione sulle recenti novità discografiche di Setola di Maiale.
Da circa 40 anni è stato possibile affrontare in musica temi dal senso recondito: narrazioni dell’alienazione, isolazionismo, forme utopiche o al contrario distopiche, sono tutti profili psicologici passati attraverso una particolare configurazione dei suoni. Per far questo alcuni musicisti hanno utilizzato l’elettronica disponibile, anche senza farsi scrupolo di mettere in piedi ‘castelli’ del rumore, altri hanno cercato soluzioni nelle capacità innate del field recordings, altri ancora hanno abbracciato i territori dell’elettroacustica, traendo spunto da un processo di ricerca in grado di costruire una connessione tra i musicisti. La buona riuscita di questi prodotti musicali sta spesso nell’onestà di quanto si suona, perché un pensiero forte e ben progettato, coagulato nei mezzi musicali, rende automatica la comprensione estetica, forse la vera finalità cercata dai musicisti.
Un’onesta intellettuale e musicale mi sembra si possa invocare anche per Inopia, un gruppo di giovanissimi improvvisatori residenti tra l’Olanda e la Germania. Inopia è stato formato dal percussionista tedesco Pascal Burbach, un musicista che si è interessato alla libera improvvisazione nelle more del conseguimento della laurea a Maastricht; Burbach ha raccolto con sé tre musicisti italiani (la violinista Maria Isolina Cozzani, il chitarrista Rocco Romano e ai sintetizzatori modulari Matteo Traverso) più uno tedesco alla chitarra preparata (Frederik Taubenheim). Exoplanet, il CD d’esordio del gruppo, è improntato già verso il massimo delle aspirazioni estetiche giovanili, è musica fuori dagli schemi, improvvisata con metodi efficacissimi, con tecniche non convenzionali e una concertazione oscura degli interventi dei musicisti: potrebbe far benissimo parte di una pubblicazione Erstwhile (senza nulla togliere a Giust e alla sua etichetta). L’inòpia traduce in italiano una mancanza di mezzi di sussistenza basilari, ma può anche affondare il senso nella penuria o carenze sociali e ritengo che sia quest’ultimo significato probabilmente l’asse di costruzione della ‘finzione’ musicale dei 5 musicisti, peraltro indotta dalla titolazione del lavoro e delle improvvisazioni elettroacustiche che lo compongono; prendere in prestito lo spazio e trovare le imperfezioni, la povertà intellettuale di cui la società si sta facendo carico nel 21° secolo, una sorta di comunicazione a due livelli, dove il primo guarda alla Regione H II, un’area di osservazione spaziale visibile da telescopio, da dove si possono scorgere forme enigmatiche di nebulose interstellari di gas ionizzato; il secondo livello è sulla Terra!.
E’ incredibile come la musica riesca a creare il collegamento emotivo: un lascito di elettromagnetismo (Radio Static), uno strano pizzicato o al contrario una nota sostenutissima di violino (Space Junk e H II Region), i vuoti a spirale creati da un synth o da una chitarra elettrica non impostata (Bok Globule o Nebula), la densità furiosa del drumming o al contrario una cadenza pianificatrice ed ingannevole di grancassa (Asteroid Belt e Exoplanet), sono alcuni degli elementi che portano a quelle strabilianti fusioni che abbiamo incominciato a conoscere con l’avvento dell’AMM Group e del suo embrionale AMMMusic, quella prima, incredibile e necessaria operazione del 1965 che diede il via a tutto l’immaginario elettroacustico.
Non sono pochi coloro che criticano gli approcci dell’elettronica che non sono più di moda. E’ purtroppo una tendenza che non smette di influenzare negativamente tutti i musicisti che hanno trovato invece potenti mezzi espressivi tramite dispositivi elettronici o informatici nati anni fa, senza contare i loro aggiornamenti. Nella free improvisation uno di questi è Lawrence Casserley che utilizza come risorsa per la manipolazione dei suoni in tempo reale il signal processing, ossia un’elaborazione che analizza, modifica e sintetizza i suoni degli strumenti musicali pescando dal segnale audio. Questo processo può risultare spesso esteticamente inconsistente se mal gestito, caso contrario può dare invece degli ottimi risultati, cosa che si verifica puntualmente in Parallel Universes, un CD che rileva l’esordio di MYL Trio, un trio di improvvisatori che vede oltre a Casserley, la violinista Mia Zabelka e la pianista Yoko Miura. Le registrazioni sono essenzialmente tratte da due esibizioni del trio, una fatta in Svezia (4 tracce a Brotz e una a Fylkingen il giorno dopo) e l’altra nella Repubblica Ceca (una traccia in un club di Ostrava) e dimostrano come è possibile realizzare una musica cangiante nella forma che con fantasia Casserley trasforma all’improvviso in termini timbrici.
Parallel Universes dimostra che si possono fare tante cose egregie, tenere insieme strumenti e realizzazioni elettroniche senza entrare in collisione: poche note di piano debussiane possono diventare campane con sovrapposizioni, suoni di violini senza rotta possono diventare singhiozzi metallici, la vocalità inconcludente di Zabelka può andare in eco alla maniera delle parti ‘confuse’ dell’Electric Ladyland di Hendrix e poi, in generale trovi un accordo anche tra le funzioni dell’improvvisazione libera, la quale deve tendere all’integrazione e all’apertura mentale ma senza dimenticare di soddisfare la richiesta di un’anima musicale. L’esperienza del trio conforta assolutamente questa visione.
Una delle creazioni di Gianni Lenoci fu quella dell’aggregato variabile dell’Hocus Pocus. Considerato come un laboratorio sperimentale, in quell’aggregato sono transitati tanti musicisti e artisti che hanno condiviso l’idea di Lenoci di creare musica libera al di fuori degli schemi, alcuni di essi sperimentando il laboratorio in modo continuativo. Lo fecero certamente i musicisti del posto, legatissimi a Gianni non solo per una confluenza di pensiero. Una testimonianza ulteriore arriva postuma alla scomparsa del pianista di Monopoli grazie al CD Hocus Pocus 4 + ZC, due lunghe improvvisazioni registrate tra il 2018 e il 2019 nello studio di registrazione abituale di Lenoci a Monopoli (il Waveahead): il quartetto è composto dai suoi fedelissimi Pasquale Gadaleta al contrabbasso, Vittorio Gallo al sax, Giacomo Mongelli alla batteria, con l’aggiunta di Franco Degrassi al live electronics. Le due suites incluse nel CD sono di una bellezza incredibile, con Gianni e tutti i musicisti particolarmente ispirati nei loro interventi: Gianni è un fiume in piena, tante idee in successione, mani sulla tastiera e dentro gli interni del piano, ricerca di suoni non usuali, tonfi e lacci, scampoli brevissimi di jazz angolare e invitanti dilatazioni armoniche che responsabilizzano l’atto creativo; attorno a lui, perfettamente in linea con gli umori il sassofono ombre e impulsi di Gallo, la psicosi interattiva del contrabbasso di Gadaleta e l’ineccepibile lavoro di Mongelli, su controtempi e varianti dinamiche. Degrassi, poi, meriterebbe un discorso a parte, impegnato a frapporsi secondo un piano che è quasi ‘azzardo’: la sua è un’elaborazione elettronica che trae spunto da frammenti digitali di opere del repertorio contemporaneo, in cui è stata sua accortezza trovare dei doppi virtuali degli strumenti reali usati dal quartetto (piano, sax, contrabbasso e percussioni); in tal modo emerge la materia acusmatica, avventurosa, non imitativa, seduttiva, a volte idiosincratica, calamitata ad una visione del fare elettronica condivisa con Lenoci (nelle mie conversazioni con Gianni emergeva la grande stima nutrita per Degrassi).
HP4+ZC impone all’ascoltatore una magnifica sessione di musica, avveduta sotto il punto di vista musicale e la sua organizzazione spazio-temporale. Sono operazioni che restano, lampi di genio che delineano una riflessione amara offrendo purtroppo il rimpianto della perdita di un musicista eccellente il cui ruolo oggi non trova successori nel polo pugliese.
Chasing the wild goose è il titolo di un CD suonato dal quartetto di improvvisatori composto da Ove Volquartz (clarinetto basso), Claude Parle (fisarmonica), Makoto Sato (batteria) e Yoko Miura (pianoforte). Ad esclusione di Miura, che ha una storia recente, Volquartz, Parle e Sato sono dei veterani dell’improvvisazione sui quali si potrebbero aprire fiumi di riflessioni. Il CD contiene la loro esibizione effettuata a Parigi nell’ottobre del 2023 e si divide in due lunghe improvvisazioni: si tratta di Beating around the bush e Every cloud has a silver lining. La prima si snoda su particolari qualità dell’interazione che si possono notare in successione temporale: umore caotico, spunti combinati, fasi di smarrimento, armonici sbilenchi, leggera epilessia sonora, piccole abrasioni, ricercata atonalità dell’insieme; la seconda porta con sé creative inaccessibilità, frammentazione, poliritmi che si sviluppano senza congruità, accelerazioni, intensità e illuminazioni timbriche impreviste. Tutto questo si trova nel fraseggio dei musicisti, stimolato dalla sensorialità del momento. Chasing the wild goose sta in italiano per ‘inseguendo l’oca selvatica’, un’interpretazione certamente figurativa del movimento creato dalla musica del quartetto e forse anche un valore filosofico legato all’intelletto, perché andare a caccia di oche selvatiche è un’attività sinonima di decadenza, rovina del consorzio umano. Perciò, Chasing the wild goose è un bel cortocircuito!
Rivelarsi è l’inedito duo tra Maria Merlino e Thollem McDonas che si esibì ai Cantieri Culturali della Zisa a Palermo nel novembre dello scorso anno, grazie alla programmazione del festival di Curva Minore. Sappiamo delle virtù di Merlino e Thollem e il loro incontro non poteva esimersi dal rivelarle: ecco, appunto, trovo che la similitudine espressa dalla titolazione sia terminologicamente perfetta per riassume quanto avvenuto quella sera; la rivelazione sta in molte cose, sta nel concetto dell’improvvisazione vista come pensiero itinerante, nella non sovrapponibilità degli stili, nella consapevolezza di non farsi calamitare troppo dalle aree idiomatiche del jazz, in una filosofica presenza da non intendersi assolutamente in senso religioso ma al contrario capace di mostrare una centralità della persona. Nel caso di Maria e Thollem si intuisce un amore sviscerato per l’atto di sapienza, unico davvero ma con un senso, e in grado di procurare una sensazione di libertà connessa all’ingegno: il panorama odierno della musica ha bisogno di modelli sinceri oltre che competenti e i due musicisti hanno le carte in regola per offrire uno spunto decisivo per l’attuazione di una differente politica dell’approccio musicale (di questi approcci ve ne ho parlato in articoli passati che ho dedicato sia al pianista americano che a Merlino).
In Rivelarsi, l’interazione si propone come un dialogo in parallelo più che come dialettica. Merlino strappa, gratta e si contorce spesso con i suoi sassofoni, va al massimo dell’armonico, si ‘lamenta’ secondo il buon insegnamento ottenuto sull’espressività, attua delle personali segmentazioni di note quando è necessario e il suono che viene fuori dallo strumento ‘profuma’ di viaggio, di luoghi vivi e pacifici. Thollem, dal canto suo, lavora sul pianoforte con diverse velocità, alterna scale e piccole aree di riflessione, ha passione per ribattute e modulazioni continue, è un treno di creatività senza fermate.
Fortunati gli spettatori di quella sera a Palermo!
Ritorna su Setola anche Luca Pedeferri dopo i suoi lavori con il Contemporary Project, lavori che esploravano la musica classica e contemporanea secondo un’ottica improvvisativa. Stavolta il ritorno è Quadri, un CD che raccoglie un live allo Spazio Pontano di Milano nel dicembre del 2023, chiaramente ispirato al Pictures at an Exhibition di Mussorgsky. La storia di questo pezzo per pianoforte del 1874 forse la conoscete già: Mussorgsky partecipò alla collezione d’arte di Viktor Hartmann all’Accademia delle Belle Arti di S. Pietroburgo dopo la morte prematura di quest’ultimo e stimolato dai quadri di Hartmann decise di comporre musica che si relazionasse agli argomenti dei dipinti; questi trattavano di luoghi e persone che Hartmann aveva visto nei suoi viaggi in Francia, Italia, Polonia e naturalmente in Russia, quando Kiev ne faceva ancora parte. Il clima della musica è chiaramente tonale ma è ben costruito. Pedeferri utilizza altro metodo di interpretazione che potremmo chiamare deduttivo: raccoglie le essenze del Pictures at an Exhibition di Mussorgsky, con accenti dell’opera del russo ma ne intravede uno sviluppo moderno, un’operazione per certi versi simile a quanto Keith Jarrett fece nelle sue riproposizioni di standard, dedicandosi ad un virtuoso modello di ricopertura del classico.
La Promenade è totalmente differente, non ci sono le famose note di pianoforte del brano di Mussorgsky ma l’evidenza è verso qualche nota solitaria, qualche accordo ben sistemato e dei cluster; The Gnome (che diventa Gnomus) è accennata ma Pedeferri va per la sua strada, articolandola come in un labirinto e facendogli perdere la sua originale linea melodica; nettamente trasformata è la struttura di The Old Castle (Il Vecchio Castello), con Pedeferri diventa luci e ombre, improvvisi grappoli di note su alcune zone della tastiera, una melodia che si insinua negli sviluppi di una trasposizione contemporanea con tanto di carillon finale; Tuileries vive su un arpeggio di poche note, Bydlo è rallentata e dilatata temporalmente con un lavoro di preparazione sul piano che coinvolge la parte interna dello strumento (tocchi delicati e punteggiature) e acquista profondità grazie al pedale di risonanza; Schmuyle ha tutta l’aria di un’interpretazione jarrettiana; Limoges, Il Mercato porta con sé certamente la preparazione di un tasto; Baba Jaga segue un’altra struttura ritmica mentre La Grande Porta Di Kiev confronta ciò che resta degli accordi di Mussorgsky con un arpeggio sognante.
La Setola fa bene a ricordare -nella scheda informativa che accompagna il CD di Pedeferri- che la cultura russa è parte integrante della storia della cultura europea. Non sarà certo una guerra a cancellarla.