Il periodo pandemico ha accentuato la preoccupazione degli individui in tutto il mondo per la mancanza di iniziative concrete dei governi contro i pericoli dell’inquinamento. Sembra non esserci in prima istanza nessun collegamento tra pandemia e degrado ambientale ma in realtà il peggioramento dell’aria respirata, l’urbanizzazione selvaggia e le emissioni industriali sono agenti che facilitano le epidemie virali, aggiungendosi ai disastri già compiuti sul clima. Sono tutti effetti che oramai fanno parte della realtà, visibili e talvolta tremendi, effetti che hanno spinto molti scrittori, registi, musicisti, pittori e tanti artisti del nostro secolo a pensare la loro arte in altro modo, nel senso di una coniugazione della creatività con i pressanti problemi dell’inquinamento ambientale; per ciò che concerne la musica, il passo fondamentale è stato l’avvicinamento dei suoni strumentali a quelli reali, con una parte della composizione che si è specchiata nella natura sia a livello macro che micro, prendendo in considerazione anche gli elementi che la popolano. A costo anche di essere indigesti nella condivisione dei gusti altrettanto alterati dell’audience.
Una spinta notevole all’interesse ambientale è arrivata dal mondo musicale nordico e, nel particolare, dalla compositrice norvegese Kristine Tjøgersen (1982), la quale ha impostato tutta la scrittura secondo criteri informativi e riflessivi:
“…penso che