Chi ama il free jazz non può dimenticarsi di Mike Ratledge. Innamorato di Cecil Taylor, Ratledge ha traslato nel mondo del rock alcune qualità intrinseche del pianista americano: l’afflato torrenziale, il modo di espandere i moduli, l’interesse per l’organo Lowrey. Scrivevo di lui nel luglio del 2011 per un articolo che intendeva mettere in evidenza l’esperienza dei Soft Machine, come di colui che ha prepotentemente contribuito al marchio di fabbrica del gruppo di Canterbury, quell'”organetto” che Ratledge ha usato fino a Six. Dicevo:
“Ratledge si inventò una sorta di suono free eterogeneo che sembra seguire paesaggi fiabeschi (come in molti gruppi di Canterbury), che incorpora le voci anonime degli gnomi, della natura e di personaggi da Alice nel paese delle meraviglie: un organo fanciullesco, ma terribilmente serio dal punto di vista musicale. Il lavoro di Ratledge è basilare e in Third costituirà l’apporto fondamentale, con una valenza musicale ed una malleabilità osmotica con gli altri musicisti che definire solo come collante del gruppo sembra essere riduttivo…”
Dentro ogni ascoltatore (compreso me, naturalmente) resta indelebile il ricordo di un percorso iniziato alla grande da Ratledge nel 1969 nell’abbinamento patafisico di Hibou, Anemone and Bear (un gufo, l’anemone e un orso), un pezzo di Soft Machine 2 che ti trafigge all’improvviso con un piano torrenziale e multiple sovrapposizioni d’organo e fiati, innescando una jam di free jazz. Ancora oggi, a più di 50 anni dalla sua pubblicazione, non perde un millimetro del suo fascino (qui una versione dal vivo per la tv francese).
RIP Mike Ratledge