Riflessioni sulla Biennale Musica di Venezia 2025

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La presentazione della Biennale Musica 2025 avvenuta ieri nella Sala delle Colonne – Ca’ Giustinian (1) pretende molta comprensione ed un’interpretazione differente da quella che normalmente faremmo per una manifestazione di musica contemporanea. E’ proprio il termine ‘contemporanea’ che viene messo in gioco dalla nuova direttrice Caterina Barbieri. Che cosa vogliamo indicare con questa parola? Inutile ribadire come anche il festival veneziano abbia sostenuto una generalizzazione terminologica che costituisce un errore storico, poiché sarebbe stato opportuno specificare che cosa si volesse intendere per ‘contemporaneo’. Lasciato così, il termine ‘contemporaneo’ è stato quasi un furto commesso dai compositori di musica classica del secondo novecento che per brevità e consapevolezza di un cambiamento epocale delle tecniche musicali si sono impossessati di un termine che invece andava già specificato all’epoca. Senza il dettaglio, nel ‘contemporaneo’ possiamo farci entrare di tutto, anche musiche che non godono di una partitura, ma che rispondono alle consuetudini del tempo in cui vivono.
Il 69° festival diretto da Barbieri sfida uno dei principi basilari della rassegna veneziana, ossia quella di essersi impadronita di un aggettivo sul quale si è specchiata tutta la composizione proveniente dalle accademie, conservatori e scuole di musica equiparabili, generando l’ipocrita riflessione che tutto quello che di ‘contemporaneo’ arrivava da altri generi o musiche fosse di minor livello. La verità è che nessuno hai mai trovato un termine migliore per descrivere la musica di Ligeti, Berio, Stockhausen, Nono, etc. etc., né i compositori né gli addetti al lavoro, lasciando anche molta incomprensione in giro. Molti si sono pronunciati in favore di un senso colto dei contenuti: la migliore musica del momento? Se fosse così, il termine ‘contemporaneo’ potrebbe viaggiare all’infinito e finanche all’indietro nel tempo. Francamente non so se sia bene riflettere sugli ‘arcani’ motivi di questa distorsione, ma forse una verità probabile è che non si sono volute creare partizioni della musica per paura di doverla etichettare (una pratica che si ritiene abominevole all’unanimità). Ho già spesso consigliato nelle pagine della rivista un atteggiamento differente verso questo problema, ossia quello di ottenere una definizione di ciò che si ascolta tramite le tecniche musicali utilizzate oppure traendo spunto da fatti estetici concludenti. In tal modo, ritornerebbero in gioco nella musica i suffissi, gli -ismi della situazione, in grado di evocare una corrente o una teoria soggiacente, anche considerando casi intermedi complessi: nella musica classica post-guerra sono evidenti alcuni di questi suffissi (serialismo, minimalismo, bruitismo, concretismo, spettralismo) mentre oggi si fa fatica ad assegnare una definizione a coloro che, per esempio, scrivono musica prendendo come riferimento le tecniche estensive sugli strumenti (io ho tentato un approccio nei miei scritti con il termine estensivismo, suscettibile di ulteriori sub-divisioni estetiche) o coloro che assistiti dai dispositivi di elettronica moderni vorrebbero puntare a realtà aumentate (virtualismo?).

Detto questo, si comprende come il termine ‘contemporaneo’ acquisti un significato comunque vasto, che racchiude aree lontane dalla musica classica e verosimilmente ne accoglie altre che possono provenire da generi popolari. La rassegna organizzata da Barbieri può considerarsi, alla luce di queste considerazioni, una rassegna specifica di musica elettronica che va a sondare un filone di influenze che rientrano nel ‘contemporaneo’ e, agli albori di questa rivista, io ne interpretavo già il contenuto affiancando queste musiche a quelle definite per la scrittura. Nel festival saranno presenti artisti (o evocati artisti) come:
-Chuquimamani-Condori, anche nota come Elysia Crampton Chuquimia (ve ne parlai in un articolo dedicato nel 2020 – leggi qui);
Ellen Arkbro, che trovate in scheda nella mia ricerca sui compositori svedesi nati dopo il 1975 – qui);
Enrico Malatesta, il cui approccio venne fuori in una recensione che sottintendeva un approccio al riduzionismo (altro -ismo, leggi qui);
Christian Fennesz, chitarrista noto per le sue elaborazioni, che segnalai fin dai tempi di Seven Stars – qui);
Vahid Hosseini, compositore di cui trovate conto nel recentissimo articolo che ho dedicato al progetto KLANG-ORE del vibrafonista Lorenzo Dari (qui);
Sunn O))) di Stephen O’Malley e Greg Anderson, di cui trovate traccia nella valida collaborazione con Scott Walker (qui);
Rafael Toral, che ho portato nel best del ‘resto contemporaneo’ del 2024, con Spectral Evolution (qui);
e poi, guardando ‘indietro’ le influenze:
Éliane Radigue, uno scritto a lei dedicato con discografia consigliata (qui);
Catherine Christer Hennix, fui tra i pochi a mettere rilievo sulla sua identità musicale nei giorni della sua scomparsa nel 2023 (qui);
Laurie Spiegel, il suo Expanding the Universe fu da me segnalato nel novembre del 2012 (qui);
Suzanne Ciani, con il suo lavoro, non secondario oltre quello al synth, fatto al piano solo new age (qui).

Come vedete, un’altra area di ‘contemporaneo’, in termini di gradimento dell’ascolto certamente più ampia di quella finora trattata a Venezia. C’è però un ‘ma’ che mi assale. Spostare completamente il tiro di una manifestazione radicata nella scrittura e nelle convenzioni di un certo tipo quali vantaggi o svantaggi può portare? Non sarebbe stato più opportuno continuare nel segno di una mediazione più profonda con la scrittura, come la Ronchetti ci aveva dimostrato nei suoi anni di direzione? La realtà è che un’operazione di rottura del tipo di Barbieri allarga gli interessi a fasce più popolari di audience mentre allontana del tutto i consueti frequentatori del festival, specie quelli più intransigenti, che non trovano più appeal per recarsi a Venezia. Se è così, è molto probabile che ci sarà una sostituzione dell’audience, i cui effetti nel tempo sono tutti da valutare.
Ad ogni modo, faccio a Caterina Barbieri, i migliori auguri per una buona riuscita del festival, nell’attesa di capire anche quali saranno i Leoni del 2025.

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Nota:
(1) Qui sotto un sunto dell’intervento di Caterina Barbieri, con prefazione poetica di Clarice Lispector.

La stella dentro

Se il brillio delle stelle mi fa male, se è possibile questa comunicazione lontana, è perché qualcosa che forse assomiglia a
una stella mi freme dentro
Clarice Lispector

La musica è la stella dentro. È il desiderio di cose grandi, di vastità. Scintilla di mondi, ci apre all’infinito. Vibrazione che permea il cosmo e ci attraversa con meraviglia, dalla molecola al moto planetario, il suono trasporta fuori dai confini dell’ego e apre all’incontro con l’altro – l’ignoto.
In questa risonanza, c’è ascolto profondo, radice prima dell’empatia: in un suono si rivela l’interconnessione che anima tutto il vivente. È proprio in questo ascolto profondo dell’altro, in questo esercizio di trascendenza, che la musica può ritrovare oggi una sua forte valenza socio-politica, aiutandoci a superare posture di pensiero antropocentriche e sperimentare modi più ecologici di coesistere che rispettino le complesse costellazioni di forze umane e non umane che attraversano il nostro universo.
Un esercizio di empatia si rivela particolarmente significativo oggi per navigare le sfide e le incertezze legate al futuro della nostra sopravvivenza come specie umana nello scenario di continua crisi e collasso globale che ci troviamo a fronteggiare quotidianamente.
Il Festival si propone di esplorare il tema della musica cosmica. Musica generativa – genesi di mondi, cosmogonia. Musica come organismo vivente, forma autopoietica in grado di auto-evolversi e sviluppare le proprie leggi — metafora del cosmo. Musica che rispecchia e manifesta la natura nel suo divenire, rendendone percettibili i processi di creazione e trasmutazione. Musica che insegna a stare nel presente: passato e futuro collassano nell’istante ora. Siamo in ascolto profondo, interconnessi e in continua trasformazione: c’è intima risonanza con l’universo. In questa risonanza, la musica risponde al bisogno dell’uomo antico e moderno di dialogare con qualcosa di più grande di sé stesso, che trascenda l’esistenza individuale e lo avvicini alla dimensione dell’inconoscibile. Un dialogo intimo che trasforma l’individuo e la collettività, nutrendo il senso di comunità e creando occasioni di catarsi e coesione sociale. La musica è agente di cambiamento.
La musica cosmica non è un genere o uno stile. Con questa definizione poetica, non si fa riferimento a uno specifico stile o una tradizione musicale quanto piuttosto al potere generativo della musica di creare nuovi mondi, oltre rigide definizioni di genere o affiliazione storica.
Nella mia curatela per la Biennale Musica vorrei avere uno sguardo sul contemporaneo il più vivo e fluido possibile rappresentando la musica del presente nella sua ricchezza e diversità. Vorrei celebrare la permeabilità del linguaggio musicale e la sua innata capacità di mutare pelle. Nell’estasi dell’ascolto, si dissolvono rigide nozioni di tempo e spazio: la musica ci insegna molto sulla relatività e i limiti della percezione umana. In questo, è simile a Venezia e alla sua vocazione alla mutevolezza: i giochi di riflessi, le fughe prospettiche, il movimento perpetuo di acqua e luce che dissolve i confini e apre allo spazio del molteplice e dell’infinito.

La fissità di pensiero diventa obsoleta e ci si apre al cambiamento. Nella mia curatela vorrei dare voce a questo cambiamento, nutrendo un’idea di musica come portale nel futuro e immaginazione dell’impossibile.
Il programma del festival affonda le sue radici nella musica elettronica e nel minimalismo, ma si dirama in molteplici direzioni che esplorano le connessioni tra passato e presente, giustapponendo tradizioni musicali apparentemente distanti tra loro in termini di stile, epoca, geografia ed espressione comunitaria. Ci sono incursioni nella musica antica, nei suoni contemporanei, nel folk, nella drone music, nella techno e nell’afrofuturismo. Una programmazione concepita per la risonanza, che offre una visione il più possibile vivida e fluida della contemporaneità, rappresentando la ricchezza, la diversità e l’inclusività della musica attuale.
I progetti musicali presenti al festival spaziano da alcune figure pionieristiche della musica elettronica, drone e minimalista, quali Laurie Spiegel, Catherine Christer Hennix, Suzanne Ciani, Moritz von Oswald e Eliane Radigue, a nuove voci del minimalismo contemporaneo quali Ellen Arkbro, Bendik Giske, Maxime Denuc, Enrico Malatesta, Agnese Menguzzato e FujIIIIIIIIIIIta; da emanazioni selettive di musica polifonica antica, come Guillaume de Machaut nell’interpretazione di Grandelavoix, ai maestri della sperimentazione Novecentesca quali Giacinto Scelsi, Xenakis, Ligeti e Kurtag; dalle icone dell’astrazione ambient, glitch e computer-music quali Basinski, Fennesz e Aleksi Perälä a progetti di culto drone metal quali Sunn O)), dal folk cosmogonico d’avanguardia di Chuquimamani-Condori agli universi espansi tra maqam arabo, jazz e poesia Sufi di Abdullah Miniawy, da leggende della techno quali Carl Craig a manifestazioni più recenti di sperimentalismo afrofuturista e altre forme di avanguardia elettronica di matrice nera (Actress, Nkisi e DeForrest Brown Junior), dall’hyperpop multidisciplinare di Ecco2k alle sperimentazioni tra free-jazz, impro-noise e elettronica di artisti singolari quali Rafael Toral e Mabe Fratti.