Pare ovvio che una delle più grandi dicotomie strutturali della musica contemporanea sia venuta dagli Stati Uniti. In quell’orbita del cambiamento tracciata dalla scuola newyorchese di Cage, Brown, Feldman e tanti altri, emerse il principio dell'”annichilimento” delle partiture, una contrapposizione creata di fronte all’imperante sviluppo delle complessità dei parametri musicali di gente come Ferneyhough o Dillon. Non furono pochi coloro che pur non essendo direttamente affiliati ai compositori newyorchesi tentavano di ridefinire gli obiettivi del comporre, poiché si era intuito che dall’esplorazione delle relazioni armoniche nel tempo e nello spazio fosse possibile trovare novità per la musica, soprattutto fenomenologie di essa esaminabili secondo un approccio empirico: James Tenney ci disse tantissimo sulla percezione armonica secondo criteri di movimentazione nello spazio; Ben Johnston ampliò il campo di applicazione della just intonation impegnandosi in un’unica ricerca di rapporti dello spazio armonico; e poi, l’immensa opera di Pauline Oliveros, che ci condusse nel mondo immacolato del ‘deep listening’ e della ‘sonic awareness’; tutti artisti che alla fine ci hanno dirottato verso difficoltà esecutive di differente taglio e livello.
E’ inutile dire che di questa accennata dicotomia oggi si raccolgono molte più tracce nel mondo musicale rispetto alla musica complessa. Una compositrice che è stata indelebilmente colpita da questo flusso sperimentale della musica e che si è particolarmente addentrata nelle relazioni armoniche improntate secondo le ricerche di James Tenney sulla serie degli armonici, è certamente Catherine Lamb (1982). Lamb ha ripreso