Azioni Inclementi era un festival che si teneva nella provincia vicentina, con serate dedicate alla lettura, alle installazioni, al teatro e cinema e naturalmente alla musica. Nel 2007 Schio ospitò la perfomance di Sonorovetro, un progetto guidato da Dionisio Capuano (giornalista di Blow Up) che, come fa intendere il nome del progetto, si prestava ad una speciale rappresentazione scenica, in cui voci e suoni opportunamente elaborati avrebbero dovuto fornire linfa ad un’esplorazione metafisico-intellettuale del suono del vetro. Con gli opportuni miglioramenti tecnologici il progetto di Capuano è ancora oggi fresco e pronto per una sua collocazione atemporale: possiamo ricavare verità dall’osservazione di una lastra di vetro? Si può consentire che musica intonata su elaborazioni del suono del vetro, basate su posizionamento dei microfoni, live processing o rimasterizzazioni possa diventare un ideale alleato di una drammaturgia espressionista? Queste domande, poste nel contesto di Sonorovetro, acquisiscono una risposta positiva, perché si caricano di una significativa trance poetica e musicale. Per ciò che concerne la prima, la girandola di frasi frammentate che si distribuiscono nell’intera titolazione (Merini, Szymborska, Pancamo, Petrarca, etc.) costituisce un’analisi indiretta ed influente sulla rappresentazione, pur in mancanza di una narrativa esplicita; per la seconda, si gode di riferimenti vocali (l’elaborazione della voce di Morena Tamborrino richiama l’algida espressione del canto e l’alterazione del senso demoniaco nell’idea dello spasmo greco alla Galas), di un riferimento musicale (Dionisio si concentra sul progetto, sulla lastra di vetro e sul piazzamento dei microfoni a contatto) e uno tecnologico (Carlo Fatigoni prima e Marcellino Garau a distanza di 12 anni, si impegnano con computer e programmi di elaborazione per trovare una collocazione emotiva dei suoni, accedendo a sonorità contemporanee dell’elettronica, dove echi, squilli, commistioni di rumori metallici e scuri segnali acustici si fondono in quella prospettiva che Capuano definisce “archeologica”.
E’ un’argomento di fisica geografica che ispira il nuovo cd di Jean-Michel Van Schouwburg, compiuto in trio con Lawrence Casserley e Yoko Miura. Lo Sverdrup Balance è legato alle correnti oceaniche e ai movimenti del vento lungo i meridiani, cosicché l’idea del trio è quella di fornire una musica che abbia caratteristiche emotive simili. Ed in verità qui si uniscono tre “correnti” differenti, poiché ognuno dei tre musicisti esporta il proprio stile e lo colloca saggiamente nell’interazione: delle qualità di Jean-Michel ho ampiamente parlato in passato, una fucina di ricercate prodezze vocali che si mettono al servizio dell’imperativo improvvisativo; Casserley è un’istituzione del signal processing, una tecnica che gli consente di elaborare real time segnali acustici provenienti dall’ambiente musicale; la Miura è invece una pianista che ha nel suo dna regni di libera espressione caratterizzati comunque da sensibilità e tenerezza degli intenti come in una peinture sonora. In Isla Decepciòn (titolo mutuato dall’isola dell’Antartide dove numerose sono le forze naturali in campo) il trio delle correnti si regola strada facendo per tenere in equilibrio il flusso principale della musica, che ne deve uscire avventurosa e persino scorrevole. Casserley e Van Schouwburg sono da tempo insieme nei concerti e nelle esibizioni in giro per il mondo, poiché quel connubio tra vocalità ed elettronica è tra le cose più rare che si possono trovare nella musica; ciò che viene tolto dalle loro esibizioni live, indebolite dall’insufficienza acustica dei luoghi dei concerti, ritorna netto nelle registrazioni, che forniscono intatto l’incredibile campionario del cantante belga e la straniante elettronica dell’inglese: con Van Schouwburg ti senti come se ti stessi muovendo in un cartone di Tin Tin o come se raccogliessi il parlato rissoso di un barbone per strada; mentre Casserley apre plurime dimensioni di scenari e situazioni sensorie. Ma in Isla Decepciòn c’è un elemento in più, una combinazione meravigliosa con l’impronta della Miura, che naturalmente dona quell’utile tasso di emotività subliminale: come vedere le cose da un oblò o da una finestra su un panorama. Splendidi risultati.
In un mercato inflazionato come quello dell’elettronica, si fa fatica a concepire il talento che può esserci dietro ad un’artista. Nel momento in cui siamo stati tutti messi in grado di utilizzare campionamenti e manipolare suoni grazie ad un computer casalingo, si è scatenata una sorta di ricerca dell’oggetto del sapere che se da una parte ha portato frutti eccellenti (vedi le operazioni degli scultori di suoni o le canalizzazioni come la folktronica), dall’altra ha reso più difficile la valutazione dell’artista e della loro creatività da parte degli operatori, perché questi elementi si sono spesso spostati sul mezzo (le capacità e la potenza dei software). Per questa via, un’artista come Roberto Fega, in possesso di un proprio concetto di creatività, corre il serio rischio di restare in un angolo della memoria; il suo ultimo lavoro per Setola, dal titolo Echoes from the planet, è un ottimo modo di dimostrare il contrario, perché ha tutte le carte in regola per diventare un prodotto d’ascolto elitario in un settore esteticamente confuso. Fega si concentra teoricamente su immigrati, presi sui due maggior fronti mondiali (quelli da Africa e Medioriente verso Europa e i sudamericani sul confine tra Messico e Stati Uniti), sui minatori italiani deceduti in Belgio e in generale sul disadattamento sociale a cui non corrisponde mai un’eguale risposta politica: la musica di Echoes from the planet è così costruita su un piano altero, fatto di battiti, di vari patterns vocali ricostruiti al computer e di parecchie estensioni glitch, in un modo che non vi farebbe mai pensare che si sta parlando di certi temi. Il bel cd di Fega richiede perciò un salto qualitativo nell’ascoltatore, come tanta musica contemporanea, perché solo in questo modo è possibile trasferire subliminalmente le differenti armi che può utilizzare un musicista di elettronica del ventunesimo secolo. Nel caso di Fega, ci sono tutti i presupposti per restarne attratti.
Una fonte di ispirazione delle nuove generazioni di musicisti è venuta da un certo tipo di narrativa e cinematografia imparentata con la fantascienza, l’immaginario multidimensionale e le attrattive esercitate della meccanica classica e quantistica: Edgar Allan Poe, Kurt Vonnegut, i racconti destinati alle macchine pensanti o agli esseri non convenzionali, i regni non controllabili o i bosoni, sono stati temi coltivati in un’area vasta della musica, con i musicisti di rock che se ne sono spesso serviti come fonte d’ispirazione. Andrea Dicò e Francesco Carbone vengono da questo mondo, ma la loro collaborazione (semplicemente marcata come D C, le iniziali dei cognomi) è un’idea parecchio immersa nelle provvidenze dell’elettroacustica. Si tratta di mettere a confronto vari loop o linee di chitarra (lap steel o elettrica) ed una batteria estensivamente costituita di oggetti e vibratori, con una serie di elementi sonori di contorno (walkie-talkie, giocattoli a molla, carillon, pezzi di campi radio, etc.): la direzione è quella di trovare aree non consolidate dei suoni. I 6 pezzi presentati mostrano un percorso in cui non appena si esce da un certo ammiccamento ad un rock comunque al limite della sperimentazione (Ossidiana o Il sogno di Giulio), ci si trova davanti ad un vero e proprio tragitto elettroacustico, con qualità ben ascrivibili all’ascolto: negli 11 minuti di Rainingindesing, Dicò dà vita un impianto ritmico surreale ed estensivo, che sembra l’elevazione a potenza di un batterista di free improvisation; in Tralfamadore, Carbone moltiplica le dimensioni dei loop chitarristici, strali selezionati che prendono direzioni differenti; originale ma più freddo è l’incontro dei due musicisti nei 22 minuti di Intergalactic Mechanical Workshop, che si pone come una scia sviluppabile di futurismo musicale. Alla fine il pensiero si focalizza sul fatto che D C ha già elementi di maturità da vendere ed è un progetto che merita già la vostra attenzione.