Wooden songs, mutazioni e confini

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Quando Sciarrino compose Il legno e la marimba si pose il problema se la materia legnosa potesse parlare. Oggi, certamente qualche risposta affermativa in più l’avrebbe, alla luce di quanto sta succedendo nel repertorio della marimba: gli ultimi dieci anni stanno mostrando un buon incremento dell’interesse verso le percussioni in legno, favoriti da costruttori specializzati, e i set dei percussionisti classici più oltranzisti accolgono oramai non solo le innovazioni che derivano dall’uso estensivo degli strumenti (tramite soluzioni su marimbe sottoposte all’applicazione di oggetti o a costruzioni supplementari) ma cominciano a vedersi anche intersezioni con elettronica calibrata appositamente sulle risonanze del legno. In Italia, il percussionista Simone Beneventi è certamente colui che sta raccogliendo queste sperimentali istanze come mai nessuno aveva fatto prima e il cd appena pubblicato, dal titolo Wooden Songs, si può considerare un’oasi in un deserto; basandosi su un programma di composizioni strettamente a lui imputabile, Beneventi ha posto in essere dei spettacoli tematici (vedi qui un estratto di un’esibizione a Reggio Emilia del 2017) in cui ha tentato di dimostrare l’importanza della materia lignea fin dalla nascita, circondato da uno specialista dell’ebano come Giuseppe Bussi e da una serie di provvidenze elettroacustiche, che potrebbero preparare il terreno per una forte evoluzione della materia. In Wooden Songs (prima registrazione mondiale) Beneventi esibisce una versione più lignea di Scraping song, un pezzo minimalista di David Lang; cesella l’intuizione di Silvia Borzelli in Wooden, utilizzando ribattute con un mallet che colpisce sotto la barra della marimba e un logdrum che si può considerare un prolungamento della marimba stessa; espone le 10 Songs di One Man Band dello svedese Johan Svensson, composizione che vede l’esecutore impegnato totalmente mani e piedi, dove le mani compiono evoluzioni su una piccola marimba e azionano un vibratore di suoni e i piedi, invece, caricano aria per un tubo collegato alla bocca del performer e azionano il dispositivo di innesco elettroacustico; riprende la à (grammatica del delirio) di Riccardo Nova, che prevede un set basato su 3 log drum, piccola marimba, foglio di legno ed applicazione di trasduttori, in un pezzo dove l’esecutore mette in comunicazione Fibonacci con i suoni dell’indirizzo sanscrito. Ciò di cui si parla deve essere naturalmente valutato anche alla luce delle proiezioni sonore, che si presentano in molte forme: non c’è dubbio che questi strani suoni sollecitano nuovi andamenti timbrici, in grado di partorire specifici pensieri nell’immaginazione uditiva e sensoriale dell’ascoltatore: sono aree inesplorate bellissime, innovative, non solo ricreazione di ambienti di uccelli o di umori sordi; sono suoni che dovrebbero entrare nella cultura di qualsiasi fruitore serio di musica. Comprare assolutamente e leggere le note di Michele Coralli.

La via artistica scelta da Alberto Napolitano per legare gli argomenti delle sue “Mutazioni” è in parte calviniana ed in parte post-moderna: per Napolitano, sassofonista foggiano studente di Fedele e Bravi, la mutazione è sinonimo di biologica trasformazione, capace anche di produrre un significativo ribaltamento del nostro essere e l’ascolto ne deve acquisire le conseguenze: ciò significa andare oltre le normali configurazioni, significa ammaliare l’udito per cercare percezioni sonore che abbiano una fisionomia a latere e i test o le tracce utili per coglierle sono disponibili nei repertori. Il sassofono può certamente adattarsi a trascrizioni di pezzi effettuati su altri strumenti affini, così come può essere rinnovamento interpretativo di quello posto in essere per il suo strumento, ma la finalità è quella di restare stupiti dalle situazioni sonore e non avere nessuna ulteriore arma se non quella di farsi condurre all’interno dei loro involucri e subirne i connotati: nel Calvino che narra di Giovannino e Serenella, il giardino paradisiaco che si offre ai due ragazzini non è scevro da imprevisti così come molti degli incanti postmoderni della letteratura svegliano associazioni del pensiero piuttosto complesse. Le mutazioni di Napolitano sono basate sulle trascrizioni di alcune opere al flauto (un tris di Sciarrino, tre fantasie di Telemann, la Syrinx di Debussy), sui Tre Pezzi di Scelsi e su un proprio contributo compositivo dal titolo Dalla Periferia: il lavoro su Sciarrino è certamente il più articolato perché bisognava trasferire una serie di tecniche estensive (e di azioni concrete per innescarle) dal mondo del flauto a quello del sassofono; la mutazione timbrica si è dovuta concentrare su capolavori come All’Aure in una lontananza, L’Orologio di Bergson e Canzona di Ringraziamento, pezzi di una difficoltà tecnica pari alla loro bellezza musicale e filosofica, e con il beneplacito di Sciarrino stesso, l’operazione di trasferimento funziona molto bene, grazie anche a quella ampiezza di navigazione degli eventi sonori promossa dal compositore a suo tempo, che è utilizzabile anche nel comparto del sassofono; il sax di Napolitano tende ad una replica cosciente, dove naturalmente certi effetti non possono che trasformarsi in sede timbrica, ma che lasciano pensare che Napolitano abbia fatto un gran lavoro, costantemente in grado di scavare in quelle strane e splendide perturbazioni delle composizioni. L’incanto e l’auscultazione più meditativa sono gli obiettivi da raggiungere sulle fantasie di Telemann e sulla Syrinx di Debussy che, nel trasbordo al sassofono soprano, acquisiscono una linearità più pronunciata, incrementando in presenza acustica ma perdendo forse in ebrezza; per il Scelsi dei Tre Pezzi, poi, Napolitano riproduce l’incanto in un mondo (quello scelsiano) dove è estremamente difficile proiettare novità oltre quella di una rappresentazione seducente del pezzo e la sua interpretazione si affianca alle numerose e valide suggestioni fornite da tanti sassofonisti classici. Ma la sorpresa arriva di fronte alla sua composizione, poiché le tecniche e gli umori di Dalla Periferia fanno svanire l’impianto magnetico segnalato, dal momento che i due movimenti indicano “alienazioni” che non hanno nulla a che vedere con la materia ipnotica servita: c’è la sensazione che il sassofonista foggiano abbia superato la soglia della seduzione sonora e cerchi qualcos’altro tra echi ed effetti forniti nelle estensioni dei suoi sassofoni.

Col Coritage Saxophone Quartet, formazione composta da Roberto Genova (baritono), Guido Consoli (soprano), Lorenzo Ricchelli (contralto) e Matteo Tamburlin (tenore), si fa un tuffo un tantino inconsueto su quanto successo nei primi cinquant’anni del novecento. Prima dell’avvento delle avanguardie seriali prima ed estensive dopo, la composizione per sassofoni in quartetto era modellata sul gusto collegato francese e statunitense (memore delle esperienze che circolavano tra compositori classici avvezzi anche alla scrittura jazz), eventi che il Coritage guarda da lontano; ciò che infatti vuole essere evidenziato in Confini (questo il titolo del loro cd) è il risucchio della tonalità su operazioni originariamente non composte per sassofoni che, anche a prescindere dalla data di composizione, comunque fanno parte idealmente della prima parte del novecento (in questo mi sento di esprimere una difformità di vedute rispetto a quanto scritto nelle note interne). L’idea è di impostare il quartetto a mò di orchestra, con parti singole debitamente sostitutive di un gruppo potenziale di strumenti in un’orchestra (perché magari raddoppiati o accoppiati) ma tentando di fornire un approccio sub-geografico: in quest’ottica si capisce che il rinnovo degli arrangiamenti su Bela Bartok (Ricchelli) tende a presentare il compositore ungherese in una nuova veste, priva delle profondità degli archi conosciuti nelle Danze rumene, o fornire una sindrome esotica delle prospettive delle Cinque bagatelle di Walton (arrangiamenti di Genova), oppure ancora rivalutare un bellissimo pezzo del repertorio per quartetto misto di sassofoni, che viene dal Venezuela e dai connubi popolari che Aldemaro Romero applicava nel Cuarteto latinoamericano para saxofones; forse non tutto è in tema, perché più difficili restano da definire i confini geografici per le 6 Bagatalle di Ligeti o per le composizioni di Bonometti e Sacco, ma anche in quest’ultime non si può negare che spesso ci sia una radice da orchestra jazzistica o una sincope blues a fare da supporto. E’ tuttavia l’impasto sonoro che tiene desto un lavoro che non ha nessun interesse a guardare avanti e non dirà niente a coloro che solitamente si addentrano nelle sperimentazioni del repertorio del sassofono; in verità, Confini potrebbe risultare particolarmente accattivante per quelli che confidano nella radice moltiplicatoria della musica e per saggiare qualità interpretative non riscontrabili in altre versioni dei pezzi presentati.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.