Non devo certo ricordare come il Messico abbia dato il suo contributo alla musica contemporanea: Juliàn Carrillo, Julio Estrada, i modernisti Ponce, Revueltas e Chàvez, Javier Alvarez e, se consideriamo la nascita, Conlon Nancarrow, sono la punta dell’iceberg di un parco compositori di qualità rinvenibili in un paese incredibilmente sottovalutato. Il progressivo distaccamento dei fruitori di musica classica, avvenuto per effetto dei nuovi orientamenti verso le tecniche estensive o i prodotti complessi, ha influito certamente sulle nuove generazioni di compositori, soprattutto quelle dei nati dal 1965 in poi, che hanno potuto affermarsi solo dietro adeguati spostamenti in Europa. La situazione è ristagnata fino ad una ventina di anni fa, quando si è presa più coscienza delle nuove forme compositive ed un paio di circostanze sono state fondamentali quantomeno per un ritorno d’interesse in Messico: l’indotto europeo, visibile in termini di formazione e allocazione di risorse, ha creato un flusso di ritorno nel paese, che è stato utilizzato da molti compositori messicani (si tratta di compositori come Hilda Paredes, Javier Torres Maldonado, Gabriel Pareyon, Georgina Derbez Roque, etc.), circostanza che ha prodotto sinergie in grado di rientrare in un sistema nazionale della creazione messicana: l’INBA, l’istituto nazionale delle Belle Arti messicano ha creato il Centro de Experimentación y Producción de Música Contemporánea (CEPROMUSIC), il cui primo progetto è stato la nascita di un ensemble stabile e disponibile per la nuova composizione messicana affidato a José Luis Castillo. A dir il vero anche alcune istituzioni europee riconobbero definitavamente vie feconde della composizione messicana, tant’è che nel 2010, in occasione della ricorrenza dei 200 anni dell’indipendenza politica, la Neos riportò su cd il risultato di un incontro sinergico tra l’Ensemble Intégrales, una formazione di musica contemporanea con base in Germania, ora non più operante, e 6 compositori messicani (Gabriela Ortiz, Georgina Derbez, Arturo Fuentes, Alejandro Castanos, Juan José Bàrcenas, Aleyda Moreno), un modo per convalidare il ruolo di quella composizione che diventava sempre più attenta nel proporsi con proprie visuali. In quell’anno, un’altro evento importante fu la costituzione del Vertixe Sonora Ensemble, una formazione spagnola specializzata nella musica contemporanea sotto la direzione di Ramòn Souto, che accolse in quantità industriali composizioni delle Americhe del centro-sud, oltre quelle spagnole ed europee, in tal modo dando visibilità ad una serie di compositori messicani più giovani che non l’avrebbero avuta (sono David Hernàndez ’75 – Ivàn Ferrer -’76 – Edgar Barroso -’76 – Eduardo Caballero -’76 – Francisco Compeàn -’78, Ricardo Leal -’79 – Francisco Castillo ’83 – Jacques Zafra ’86 – Jorge Elizondo -’86 – Alfonso Mendoza -’88 – Andrès Nuno -’88).
Sulla base di un primo studio che ho effettuato è molto probabile che almeno 4 compositori messicani mirino all’eccellenza: Arturo Fuentes (1975), Victor Ibarra (1978), Hugo Morales (1979) e Samuel Cedillo (1981). Vediamo perché.
Naturalizzato austriaco, Arturo Fuentes prima di stabilirsi in Europa nel 1997, era un chitarrista laureato alla Royal College of Music di Londra; Fuentes fu folgorato dall’incontro con Donatoni in Italia, che diventò immediatamente il suo mentore. Quando pensiamo a Donatoni pensiamo ad uno strutturalismo impervio, cosa che non possiamo trasferire in Fuentes, il quale si è spesso descritto come un compositore dispensatore di musica su una linea (un pò come quelle di Klee), sulla quale fioriscono forme musicali: “…I select a sonorous line and walk with it. The breaks in the line, changes in speed, suspended moments, etc. – all of these things lead to the emergence of a sonorous form and musical context…” (Fuentes, dal suo sito internet, rubrica about Fuentes’ music). Se qualcuno avesse voluto verificare quest’affermazione avrebbe dovuto solo ascoltare Formantes, pezzo da camera per flauto, clarinetto basso e piano che l’Ensemble Intégrales magnificò nella versione registrata nella prima monografia discografica che la Neos gli dedicò (Chamber Music): in effetti era un tessuto unico quello di Fuentes, fatto di accentuazioni, pulsazioni e cambi di registro su un percorso pieno di soluzioni; in quella stessa raccolta un’altro splendido brano era Lightness, offerto alla competenza di Barbara Luneburg al violino, un pezzo con live electronics di sostegno, che negli scopi di Fuentes individuava una vicinanza al principio di leggerezza di Calvino trasposto in musica. Direi che con questi due pezzi si è in grado di delineare lo stile di Fuentes, perché formanti e leggerezza sono i drivers che si riconoscono in gran parte della sua produzione e che provocano un gran interesse degli ensembles europei; nel 2014 la Neos pubblicò un’altra raccolta monografica dell’autore con 2 splendide composizioni (Dunkelkammermusik e Skifir) e una selezione di movimenti dello Space Factory, tratti dal The children cycle, stavolta suonati dall’Ensemble Phace e l’Ensemble Recherche. Fuentes incoraggia uno strutturalismo che non privilegia l’ossessione ma è armonico, anche quando il tema è l’oscurità e non ci sono solo figure che si sviluppano in aree descrittive o astrattamente configurate, c’è anche un lavoro specifico su come rendere in musica sentimenti specifici; da una complessità di parametri Fuentes ricava il meglio, evita di addentrarsi in attorcigliamenti improduttivi, lasciando alla fantasia il compito di affiancare le strutture. Ancora formanti e leggerezza. Discograficamente parlando, il discorso si completa con i lavori per Kairos R.: il primo, nel 2015, è un dvd che mette il compositore a contatto con una coreografia importante (vedi qui la mia recensione), il secondo è invece un saggio sul quartetto d’archi profuso con 4 composizioni ed affidato al Quatuor Diotima, in cui emerge un surreale interesse all’acqua e ai cristalli. La ricchezza e bellezza strumentale dei lavori di Fuentes ricorda i temi di Borges nella letteratura, dalla descrizione dell’evento ai lasciti in tema di ricerca dell’eternità e di uno spazio infinito e sopratutto i suoi labirinti, che vengono concepiti non più nel senso tradizionale come circoli da attraversare al buio di conseguenze, ma come sentieri diritti in cui le verità si moltiplicano, inedite.
Victor Ibarra ha compiuto la scelta della Francia e della Svizzera per la sua formazione, adottando i modelli della microtonalità e dello spettralismo francese: la sua musica si presenta spesso proprio come un grande flusso spettrale, dove l’energia delle parti viene dosata indugiando in micro movimenti percorribili in fasi; con Jarrell tra i suoi insegnanti, Ibarra ha vinto meritatamente il prestigioso premio di composizione a Basilea nel 2017, con In memoriam, uno splendido pezzo-signature dove un timbrico approccio dell’orchestra viene sistemato da frequenti colpi magici della partitura (la riapertura delle fasi spettrali viene gestita in senso longitudinale, come un mago che usa la sua bacchetta magica). In generale, la musica di Ibarra nuota in uno spazio creativo e virtuoso che ha la prerogativa di offrire sonorità connesse ad argomenti legati in maniera interdisciplinare con le altri arti: la recentissima monografia pubblicata su Neos ne è testimone, poiché composizioni splendidamente costruite come Estudio sobre el gris y el verde, La dimensiòn fragile, Quìmìca dell’aqua o Homenaje a Francisco Toledo, reggono le visuali artistiche di pittori come Antoni Tàpies (i dipinti lavorati sulla prestanza psicologica del grigio-verde) o Francisco Toledo (soprattutto quello delle surreali manifestazioni di Chivo), dei fotografi Jeff Wall e Guillaume Lemarchal (per la cromaticità espansa e la riflessione sulla fragilità degli ecosistemi). Ciò che emerge dalla musica di Ibarra non è solo un mondo armonico incredibilmente ricomposto per l’occasione, ma anche un motivo per riflettere in maniera introversa e ricca sui cambiamenti, sulla storia dell’uomo e quanto ha lasciato sul suo cammino, energia astratta e dichiarativa, che i musicisti devono comprendere ed assimilare: l’interpretazione di Vertixe Sonora Ensemble, al riguardo della monografia di cui si discute, è ineccepibile, calibrata anche negli aspetti post-produttivi. La musica di Ibarra fa riemergere un sentiero della materia acustica che molti compositori hanno parzialmente accantonato, nel quale si comprende anche il trattamento del silenzio, tra composizione e riferimento alla radio music di John Cage.
Hugo Morales Murguìa ha ottenuto un rapido consenso vivendo in Olanda. Completamente rivolto nella ricerca di nuovi suoni da trovare con qualsiasi mezzo, Morales è diventato un punto di riferimento dell’attuale composizione che si occupa delle tecniche di generazione dei suoni: cavalcando i confini delle modalità con cui suonare gli strumenti tradizionali (soprattutto privilegiando la maniera estensiva), degli oggetti particolarmente adatti ad un’analisi sonora o usando alcuni degli attuali supporti che la tecnologia offre per la metodologia compositiva, Morales ha sperimentato moltissime cose. Per la gioia dei percussionisti più intransigenti, ha provveduto a preparare i vibrafoni e i vibrafonisti (con strutture risonanti, ditali o dispositivi di comando elettromeccanici) o ha amplificato il triangolo, ma anche messo dei generatori di pulsazioni sul corpo legnoso degli archi o sfruttato corpi vetrosi come violini e tante altre cose che troverete nel suo sito internet ben rappresentate (vedi qui 10 frammenti di queste interessantissime manovre). Più in generale mi sembra che sia centrale il concetto di “pulsazione elettrica”, come modalità della composizione, che può essere lavorata con malleabilità, può essere organizzata e che può dare emozioni fortissime allo stesso tempo: sentite/vedete cosa succede in Gramophones (sulla materia turntable e kick-drums) o in Floating Ground, dove Bas Wiegers conduce un ensemble di strumenti “conduttivi” e oggetti metallici; ciò che è importante per Morales è che le decostruzioni abbiano un senso dimostrativo, ma molte volte l’equazione virtuosa tra procedimento e la reazione affettiva funziona. In Olanda, qualche anno fa, il compositore ebbe modo di partecipare ad un progetto di danza e coreografia su invito dell’ensemble Slagwerk Den Haag, dove realizzare la materia del “contrasto” su livelli musicali e visivi: Morales scrisse Force Field, un potente pezzo per pannelli solari, faro rotante e 4 percussionisti che venne introdotto in un programma musicale abbinato a Le Noir de l’Etoile di Grisey. Con Equid , nel 2017, Morales ha vinto anche il premio Willem Pijper all’Aja, un pezzo per suonatori di jawbones (si, le mandibole in forma ossea degli equini), con amplificazione ed intervento di danzatori. Il premio viene assegnato in una manifestazione che da sempre ha rivestito importanza per aver attribuito premi a coloro che compongono con una funzione “segnaletica”; Morales ha colpito in pieno con un pezzo che univa un aspetto singolare della tradizione messicana (le mascelle vengono usate come strumenti nella musica popolare) con la trance contemporanea. La pressione sui confini dell’esplorabile domina sempre la produzione di Morales, che si sviluppa su quella pulsazione, tensione, che si applica su qualsiasi cosa come se fosse un gioco adulto.
Samuel Cedillo è un compositore messicano di origini Mazahua, una popolazione indigena del Messico che si trova soprattutto nella parte sud del paese. Cedillo è un pedagogo della sua comunità e della musica: non solo difende il ruolo degli indigeni in zone che rischiano l’impoverimento per cause climatiche non ancora riconosciute, ma ha aperto un conservatorio indipendente per il gruppo Purépecha, un modo non violento di recuperare spazio per le arti in una nazione influenzata dalla corruzione, attraverso una riesumazione di pratiche tradizionali che sviluppano il senso delle radici e rafforzino la solidarietà e il consenso. Nella musica contemporanea Cedillo si è ritagliato un posto speciale per i suoi “soliloqui” o “monologhi”, costruiti su martoriati set strumentali o vocali, da cui estrarre massima potenza psicologica, una scrittura drammaturgica che scuote gli interni fisici degli strumenti o della vocalità, mettendoli sotto stress: sulla base di molte idee mutuate da Lachenmann, Billone o Nunes, coltivate nei suoi itinerari europei, c’è un affiancamento di tematiche che vanno dalle possibilità asemantiche della musica, al parossismo del rumore fino ad arrivare alla saturazione strumentale. Lo scopo è individuare un’anima parlante, che vibra però in maniera differente dal solito, è teatralità vissuta con una voce propria, come quella sanguinante di uno strumento a corde o quella ansimante che Cedillo presta direttamente nelle esecuzioni. Dal punto di vista discografico si può constatare quanto detto tramite Soliloquio, un pezzo che si trova in Platypus, una raccolta ColLegno pubblicata nel 2014, poi con una monografia dal titolo Monòlogos I-V, pubblicata per Cero Records e alcuni video caricati su youtube che impegnano aspetti specifici dei suoi monologhi (tra gli altri, vedi qui quello della macchina parlante).