Sardegna sui fili

0
1337
Telaio del meriggio, Maria Lai 1970, opera appartenente alla collezione della Stazione dell'arte Fonte Opera propria Autore Damiano Rossi-licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported

Ci sono degli aspetti caratteriali fortissimi che coinvolgono la personalità di Marco Colonna: lui non è soltanto un musicista da eccellenza ai clarinetti, ma anche un uomo avvolto dalla passione per una duplice categoria di arte, quella che come consuetudine abbraccia l’inventiva dell’uomo e l’altra che invece regola l’esistenza e il vivere degli esseri umani. Colonna è anche un emotivo scrittore che in un recentissimo saggio autobiografico di circa 100 pagine ha esaltato un pensiero ed uno stile di vita contrario a quanto nelle nostre comunità passa per “accettazione dell’ordinario”, “rifiuto di analiticità” o “sufficienza relazionale”, tanto che persino suo padre lo riteneva non normale per un sistema distopico come quello che viviamo (affettivamente accorgendosi della coerenza di Marco); in questa sede lo ringrazio davvero per avermi citato nel suo libro che ho provveduto immediatamente a comprare (fatelo anche voi), dove figuro forse immeritatamente in una lista di “eroi” silenziosi che come lui hanno una fede sconfinata nell’etica, nella correttezza e nel cercare di mantenere vivo un progetto di resistenza culturale, che è l’unico modo di poter dare un buon esempio, nonostante tutte le difficoltà.
Come spesso accade nella musica di Colonna, l’ispirazione deriva da persone dotate di virtù speciali, quelle del sapere, del coraggio o del frutto di prodigi naturali: nel suo ultimo solo, dal titolo Fili, la linfa su cui si compone la musica si trae dall’artista sarda Maria Lai, un’incredibile, silenziosa portatrice di arte contemporanea, che ha filtrato un universo di tradizioni, di forme antiche in un “telaio” moderno, in cui si vantava di “poter prendere per mano il Sole”; tutti i suoi interventi si sono concentrati in un simbolico mondo dei fili, legamenti che non sono solo espedienti del campo tessile ma quasi dei cavi che tendono ad unire, porre relazioni, rappresentare paure e gioie, legare montagne e mari o geografie del tempo. E’ su queste basi che Colonna cerca di lavorare sui clarinetti, immaginando di dare sviluppo musicale agli argomenti della Lai e stavolta arricchendo l’analisi con i loops: un lunghissimo ed assordante armonico (forse una saldatura?) è lo sfondo fisso che incrocia alcune linee melodiche utili per delineare lo scenario di Maria Pietra, soggetto di un racconto di Lai, che chiese a un Dio distratto di rammendare un paesaggio con un ago per eliminare il pericolo di scivolamento dalle colline al mare; poi, una serie di colpi in canna ricavati da tecnica estensiva e circolarizzati, creano le polifonie che servono per rappresentare Sos Bersos, le storie di superstizione che girano nel Nuorese; ancora, un giro armonico che attornia una memoria musicale tradizionale sostiene Janas, la fata di molte storie differenti della Sardegna, che qui però sembra rivelarsi benefica.
Da questi esempi si capisce che suonare in solo per Colonna non è solamente un esperimento, fa parte di un proprio modo di porsi, di trasporre sullo strumento la sua visuale delle cose e finanche un senso: è un sistema che lo contraddistingue, che ha avuto modo di consolidarsi nel tempo e che verrà ripetuto; per le registrazioni in solo, allorché si escludono le trascrizioni o le interpretazioni, dovremmo essere all’ottavo episodio, con questa scaletta temporale che abbozzo:
Transcultural (2016) – Ondas de Trigu (solo clarinetti e sax alto, 2017) – Guernica in fondo al mare (solo clarinetti, sax baritono, flauto contralto, 2017) – Prometheus (clarinetti, 2018) – Foraminifera (clarinetto e clarinetto basso, 2018) – The second coming (clarinetto e clarinetto basso, 2019) – Metamorphosis of the memory (clarinetti – 2019).
Si noterà come Colonna sia stato sempre poco propenso all’utilizzo di elettronica, essendo più attento al suono e ai suoi aspetti emotivi e che quindi Fili sia un’eccezione che vuole evidenziare contesti nuovi ma nel rispetto di limiti imposti dalla propria visione musicale: nel cercare ulteriori linee di modernità nei loops, che siano paragonabili agli stratagemmi di una piccola orchestra, Marco evidenzia come l’improvvisazione possa confondersi con un programmato percorso di ricerca che assume i contorni del lavoro di un compositore.

Un altro percorso segnato recentemente da un simbolismo del filamento è quello di Paolo Angeli: dopo l’ottima operazione effettuata sulle canzoni dei Radiohead, Angeli ha pubblicato i concerti fatti tra il 2015 e il 2017 tra Gent, Praga e Lisbona assieme a Iva Bittovà. Sul filo raccoglie 13 improvvisazioni che si svolgono sul terreno di una comprensione epica, che libera dimensioni e pratiche e indirizza le modifiche interpretative: da una parte Angeli, con un’uso sempre differenziato della sua chitarra, dall’altra la Bittovà tramite violino e vocalità totalmente scomposta, danno vita a strutture che navigano in una poetica stanza dell’esistenza, un viaggio tra sostanza melodica e tracce di avanguardia, urla e giaculatorie che estraggono la complessità della poesia tradizionale mediorientale contrapponendola alla frammentazione e l’alienazione del canto contemporaneo (sentire quanto succede in Attese). I colpi secchi di chitarra di Angeli in Alle Spalle sono separatori di quadretti, mentre Transizioni fa pensare ad una bella avventura e a traguardi che si raccontano nei dintorni del mar di Sardegna; la Bittovà è strepitosa e canta benissimo, una voce in metamorfosi capace di rendersi malleabile tra le mille inflessioni che attraversano il canto europeo da ovest ad est, ma Angeli è centratissimo su come indirizzare gli aspetti dell’improvvisazione verso una catena sensibile di eventi.
Sul Filo ha un valore propositivo annunciato dietro le valenze dei due musicisti: porta il messaggio di una parte di umanità indomita nel volere assicurare una continuità a quell’arte musicale che cerca di far incontrare risorse: qui il filo va interpretato come filo geografico (un arco dalla Spagna alla Turchia) e linea di tendenza e comunanza che incorpora musica popolare, musica contemporanea e jazz, un invito a far saltare gli estremismi e ricomporre un processo equilibrato di recupero della memoria.

A proposito di estremismi e di talenti esportati della Sardegna, va assolutamente menzionato il chitarrista Fabrizio Bozzi Fenu con il suo solo dal titolo Sant’Andrìa (Bozzi Fenu risiede e lavora a Marsiglia e su queste pagine ho parecchie volte evidenziato il suo valore tramite recensioni dei suoi lavori). Per le mie conoscenze Sant’Andrìa solitamente richiama una festa pagana legata al vino, con molte analogie alla festa di Halloween, ma Bozzi Fenu esplicitamente si riferisce ad un altro horror, quello relativo agli anni di piombo, alla supremazia del pensiero politico diviso tra atti di lotta e di terrore degli anni settanta: le note parlano di “speenetic lyricism” che musicalmente è sostenuto con tutta una serie di manovre estensive sulla chitarra elettrica che lo rendono possibile. Lo strumento viene modificato e pesantemente destrutturato nelle sue tonalità consuete: in Intuizione, il rumore prevale e si stabilizza nella memoria come eco di voci di gruppo, sottolineando un ambiente metallico, sapientemente costruito su basi Bailey-iane per fornire un perfetto surrogato sonoro dell’assembramento; in Dimensione si crea una sospensione con pochi toni liberati con forza, mentre alcune tecniche incrociate sullo strumento portano ai meticolosi clamori di Sveglie, suonerie e campane; Parola segmenta in plurimi stati una presenza, mentre Acanto prefigura il plugged di un brano che è stato scelto come equivalente di una pianta; si termina con Anima, una speranza che si rotola con la fine del periodo ma che ha quasi dei tuoni in lontananza, forse il vero messaggio di questo bellissimo lavoro di Bozzi Fenu, ossia la valutazione di un ritorno di violenze ed estremismi che vanno evitati in un periodo che già offre il fianco a queste pericolose posizioni, appese a un filo di detonazione: “…Do you hear the voices you left behind? Echoes of a grief observed, hauntology, exile on some Lost Highway… a music made and unmade at the same time, a bleak watercolour gently torn apart…” (dalle note interne).

Articolo precedenteSilk songs, opportunità timbriche e lente funzionalità
Articolo successivoGli Aymara ed Elysia Crampton
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.