La storia spesso si ripete in altri àmbiti ma con caratteristiche uguali: molte stars del rock diventarono “miti” per aver saputo “vivere” oltre il palco, la loro visionaria presenza musicale, ci sembra che ce ne sia stato uno nella contemporanea che abbia avuto lo stesso destino. La prematura scomparsa di Fausto Romitelli non cancella il ricordo di un compositore sui generis, che specie negli ultimi anni della sua vita aveva irrimediabilmente diretto la sua musica verso quell’astrattismo senza remore, forse anche frutto della terribile esperienza che stava vivendo. Questo carattere emerge dalle opere orchestrali, che hanno quel fascino che non deriva da un immediato slancio di animo, ma da una ricerca subliminale della realtà che era sua prerogativa raggiungere. In altri campi della musica questo è stato fatto con strumenti e realizzazioni diverse, nella contemporanea ci pensò lui a dare una delle sue più uniche e migliori rappresentazioni. La riscoperta (un pò tardiva come sempre) dell’artista sta finalmente passando anche attraverso alcune registrazioni compilative che racchiudono il meglio del suo repertorio: seppur differente nel taglio rispetto alla splendida raccolta di “Audiodrome” pubblicata dalla Stradivarius, la recente monografia appena pubblicata dalla Tzadik ha una prospettiva temporale diversa anche se esplicativa comunque della sua personalità; la sua musica non annoia perchè sostenuta sempre da invenzioni strumentali (con ricorso anche a tecniche non convenzionali), con gli strumenti che sembrano voler sommessamente esprimere un concetto, una parola. Pur avendo riferimenti stilistici nella migliore musica contemporanea europea (dall’avanguardia italiana agli spettralisti francesi) il suo modo di presentare gli argomenti musicali è unico e si dipana attraverso una continua ricerca di “contrasti”: suoni che si insinuano e svaniscono velocemente, che si contrappongono ad improvvisi rovesci strumentali, sempre comunque garantendo una densità appropriata che viene in modo sospensivo continuamente sostenuta per dare vita a fenomeni di anamorfosi, di visionari effetti ottici trasposti in musica. Certo è un processo che inquieta l’ascoltatore ma che può affascinare senza condizioni. In questo processo va anche considerata la sua incursione proprio in quel mondo della distorsione tipico della musica rock di cui si parlava prima che è funzionale ai significati celati nella sua dimensione: l’introduzione sporadica di un basso e di una chitarra elettrica in fruizione feedback serve per puntualizzare quella voglia di raccontare di quello che resta di una società a pezzi ed asseconda una tendenza piuttosto visibile in alcune frange della composizione contemporanea odierna che sembra aprirsi ai nuovi spiragli offerti dall’elettronica (glitch, techno). Le sue sono “città senza nome”, città percorse di notte e messe a nudo attraverso un inquietante viaggio che risalta la desolazione della nostra civiltà.
Discografia consigliata:
-Audiodrome, Rundel, Stradivarius R., 2007
-Anamorphosis, Talea Ensemble, Tzadik 2012
-Index of Metals, Cyprus 2005