Forrest Fang: Animismi

0
501
Dopo un decennio di rodaggio, la musica “ambient” alla fine degli anni ottanta, si stava preparando a nuovi traguardi. Se in quel decennio (’78-’88) si erano instaurati delle vere e proprie caratterizzazioni musicali (si pensi ai soundscapes di Eno, la percussività world di Hassell, le costruzioni soniche di Roach in bilico tra elettronica melodica e tribalità), quello successivo è ancora alla ricerca di una sua nuova organizzazione. La direzionalità presa dagli artisti verso la new age music aveva provocato già uno spostamento dei musicisti nati come “ambientali” verso sonorità che inglobassero strumenti e sensazioni di molte altre parti del mondo, ma spesso il connubio tra folkore e sonorità ambientali virava in progetti musicali che privilegiavano un risultato che stesse bene anche alle vendite; pochi avevano in mente di preservare una certa purezza strumentale: tra quanti si facevano portavoce di questa purezza “mistica” si ricordano Stephan Micus (vedi mio post precedente) che comunque non usava l’elettronica o Kitaro nel suo periodo iniziale. Tra questi musicisti ne emerse anche uno, americano di origini cinesi, che sembra avesse più a cuore la laurea in avvocatura che la musica: Forrest Fang. La svolta verso Eno e Roach (che diventeranno i suoi punti imprescindibili di ispirazione) avviene alla fine degli anni ottanta, quando due eventi cambiano il corso dei suoi pensieri: il primo è la conoscenza della suonatrice di zheng, Zhang Yan, che marchia la filosofia orientale nelle sue composizioni; il secondo è la pubblicazione di un album “The wolf at the ruins” nel 1989, che può essere considerato uno dei capolavori della world music di stampo elettronico, uno di quei pochi lavori in cui viene effettuato quel fine lavoro di compenetrazione tra soundscapes ambientali, ritmicità world e sospiri “orientali”. Con quell’episodio Fang si impose all’attenzione di tutti, paventando una originale personalità musicale che faceva intravedere come fosse possibile anche essere “discreti” ed “obliqui” in un settore dove tali caratteristiche erano difficile da trovare: Fang è eccezionale nel trovare quelle combinazioni di droni, percussioni e temi che evocano sentimenti e culture diverse, che sanno trovare quella giusta sintesi tra passato e presente. Dico culture diverse, perchè è innegabile che dentro la sua musica si avverte l’incontro che personaggi occidentali come John Fahey o Terry Riley hanno avuto con l’Oriente. Di lui si apprezza la particolare misura con cui usa la gamma percussionistica (dai gamelan balinesi ai gong della Birmania) e gli strumenti tradizionali (violini, mandolini e chitarre del Far East asiatico) che alla fine smorza molto l’impronta new age, dando vita ad un raffinatissimo prodotto musicale. Queste sensazioni si vivono anche nel successivo “World diary” e nel discreto prevalere della cultura orientale nello splendido “Folklore”. “The Blind messenger” chiude il cerchio con questo meraviglioso periodo poichè da quel momento in poi Fang troverà più opportuno provare ad approfondire il lato esclusivamente “ambient” della sua musica con una minore efficacia della tensione verso aspetti “world” e questo cambiamento verrà evidenziato dal suo definitivo(?) passaggio discografico alla Projekt Record, con cui pubblicherà il primo e valido “Gongland” del 2000. Nei dodici anni passati, Forrest ha inciso poco per la verità e più che con progetti da solista (l’unico cd in tal senso è “Phantoms”, un’ispirato lavoro “minore” della sua discografia) ha soddisfatto alcune sue esigenze compositive, lavorando ad un paio di diversificazioni: quella empatica con il chitarrista Carl Weingarten e quella totalmente dronistica (minimalista) del Sans Serif.
Animism” lo riporta nuovamente ai livelli del suo periodo migliore, grazie ad una maggiore quantità del peso affidato agli strumenti acustici che dettano le linee melodiche: ormai Fang (a cui si accompagna pressochè costante il sostegno di Robert Rich alla masterizzazione) ha raggiunto una tale sapienza nella costruzione della sua musica che è difficile non farlo partecipe dei musicisti protagonista dell’area dell’etno-elettronica.
Un’ultima cosa: un’accorgimento necessario della sua carriera dovrà essere quello di ristampare o reincidere i primi tre albums (LP) della sua carriera (per la scomparsa Ominous Thud) che già subivano la limitazione delle copie di tiratura e che sono letteralmente introvabili. Spero che Forrest cerchi di provvedere a questa mancanza!
Discografia consigliata:
-The wolf at the ruins, Ominous Thud, 1989
-World diary, Ominous Thud, 1992
-Folklore, Cuneiform 1995
-The blind messenger, Cuneiform 1997
-Gongland, Projekt 2000
Articolo precedenteE’ plausibile una seconda modernità musicale?
Articolo successivoIl tema dell’improvvisazione totale
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.