La tradizione musicale del Sud Italia

0
3298
 
 Per inquadrare la tradizione musicale del Sud Italia è necessario coordinare due periodi della nostra storia; innanzitutto il regno di Federico II di Svevia intorno al 1200, dominatore del territorio ma uomo illustre, addentrato in molti campi (da quell’artistico a quello scientifico) e successivamente il periodo della dominazione spagnola. Per quanto riguarda il primo aspetto, fu sotto Federico che cominciarono ad essere raccolte (perlomeno in via orale) le prime canzoni: Napoli era la città principale di questa iniziativa ma storicamente non era una novità per lei essere al centro dell’origine della canzone: basti pensare ad Ulisse, al suo racconto e alla novella delle Sirene che si sarebbe svolta tra il Golfo di Procida e Capri. 
D’altro canto il dominio degli spagnoli aveva avuto come effetto l’esportazione di molti modelli musicali, basati sulla loro cultura musicale che era un misto tra tradizione spagnola (il fandango che poi diede vita al flamenco) ed araba (specie per quanto riguarda le finalità della danza). Il primo genere codificato e riconosciuto venne inventato tra il ‘400 e il ‘500 e venne chiamato con il nome di “Villanella“. Questa era così chiamata sia in rapporto ai luoghi (poichè Napoli era circondata dal verde a quei tempi) ed esprimeva un evoluzione della musica e del canto popolare che era peculiarità del territorio napoletano e che offriva al genere rinascimentale nuove melodie a più voci basate su un uso personale di tamburini, tamburelli e nacchere. Il fenomeno della Villanella fu fortunato ed oggetto di esportazione anche fuori dai territori di Napoli grazie all’opera di artisti internazionali come Orlando di Lasso, Adrian Willaert, Claudio Monteverdi, etc., che utilizzeranno i versi scritti in napoletano per caratterizzare in seguito anche i loro madrigali. Purtroppo intorno al 1650, la villanella scomparse a favore di una canzone popolare dove diventava essenziale l’uso di una sola voce accompagnata da strumenti: è in quel momento che la tradizione delle canzoni (compreso il vernacolare) si adegua alle operazioni scenografiche della musica collegata alla nascita dell’Opera e che darà vita alla cantata “classica” napoletana. Si eran creati però due mondi, quello ritenuto di spessore e che si riferiva alla cantata e quello meramente popolare che era tenuto in vita in maniera orale e che geneticamente apparteneva al popolo. E’ da sottolineare come quella soluzione musicale tipicamente meridionale, condivisa tra scherzo e lamento era intanto divenuta dominio di tutto il territorio rimanente del meridione, e come in un ricorso storico, la cultura popolare si divise quasi nello stesso ordine di amministrazione creato da Federico nel Medioevo: con la graduale disgregazione dell’ex Regno di Napoli e l’acquisizione dell’autonomia, ogni regione che si delineava acquisiva propri patrimoni culturali: in tal senso e soprattutto nell’Ottocento venneno fuori ufficialmente queste tradizioni popolari tramite le danze, con riscoperta ufficiale della cultura della tarantella, genere che accomunava tutte le regioni e sul quale si basavano le diverse sfumature musicali (la campana e la sorrentina nel napoletano, la montemaranese in Irpinia, la molisana e l’abruzzese ad est, la calabrese e la cilentana in Calabria, la salentina e del Gargano in Puglia, l’arbereshe tipica delle etnie greco-albanesi presenti nel sud Italia, etc.)  Se è chiaro che non è possibile stabilire date ufficiali sulla nascita delle varie canzoni regionali, si può però affermare che la dominazione arabo/spagnola ebbe terreno fertile nel meridione nel lasciare la sua impronta culturale: gran parte del Sud Italia aveva già subìto la dominazione dei Mori per circa 400 anni, con alcuni insediamenti musulmani che rimasero sul  territorio fino al 1300. Sebbene l’affermazione non sempre risulti chiara, la terra del Sud Italia ha quindi un’antica origine “modale” e il genere della tarantella (che sembra aver preso il nome da un ragno velenoso i cui effetti sull’uomo erano quelli di provocare stati epilettici) è un evidente ritorno alla musicalità mediorientale: qualche musicologo ha avanzato l’ipotesi che la tarantella sia collegabile alla definizione di ballo moresco di sfessartia, ossia un ballo di guarigione che si basa sullo sfinimento dovuto al movimento continuo del ballo stesso. Per finire, c’è da rimarcare il lavoro svolto dal musicista Eugenio Bennato e da tutti gli elementi della Nuova Compagnia di Canto Popolare, che da più di trent’anni si sono fatti portavoci di un revival regionale costruito sulla tradizione ma aggiornato alle sonorità dei tempi attuali.
 
Discografia consigliata:
-Alla Napoletana, Villanesche & Mascherate, Suonare & Cantare, Gaillard, Alpha
-Il canto della sirena, Cantate napoletane dell’età barocca, Pino De Vittorio, I Turchini, Glossa 
-La Tarantella: Antidotum Tarantulae, L’arpeggiata, Pluhar, Alpha
-Tarantella del Gargano: I cantoni di Carpino, Lucky Planets

 

Articolo precedenteSulle strade americane: Little Feat
Articolo successivoRobert Carty
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.