La stanza dei disturbi

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Nel momento in cui oggi valutiamo un movimento artistico come il futurismo, siamo indotti a pensare che alcuni dei suoi principi siano attualissimi e che ci sia stata persino un’evoluzione: le macchine sono ancora indispensabili (dalle auto alle piccole produzioni industriali), la velocità delle esecuzioni è fondamentale (si lotta sempre per un risparmio di tempi) ed in più si intuisce come i macchinari siano stati invasi dalla tecnologia, sostituendo l’attività umana con dei robots dall’autonoma capacità di produrre suoni e rumori. Nei fatti, in campo musicale, il discorso si sposta sulla rappresentazione: pur essendo consci dei cambiamenti intervenuti nella musica, non sono infrequenti le applicazioni del futurismo a molta musica ascoltata oggi e che proviene da varie fonti. Sono parecchie le indicazioni di nuove forme di futurismo, con un’analisi improntata a rumori o suoni prodotti non solo dalle macchine, ma dove il substrato teorico è lontano da quello profuso dal futurismo della prima parte del Novecento, rinvenibile nel suo manifesto. Tuttavia, credo che ciò che sia utile trovare è quella probabilità armonica o quella capacità relazionale dei rumori che può affascinare l’ascolto al pari di una creazione sensitiva delle arti.

Luca Collivasone, un musicista di Pavia di estrazione rock, intuendo uno sviluppo costruttivo del cacophonator, un dispositivo elettronico con manopole inventato per produrre effetti sonici tramite circuiti integrati, nel 2008 incominciò a dedicarsi esclusivamente alla costruzione del “suo” cacophonator, ossia una vera e propria macchina di suoni e rumori costruita partendo da un piano di una vecchia macchina da cucire Singer (si, un attrezzo che era presente in quasi tutte le case delle famiglie italiane degli anni sessanta). Collivasone ha creato un banco operativo, di tipo meccanico, inizialmente composto da pulegge e trascinamenti in grado di veicolare suoni e rumori, fino ad arrivare ad un arricchimento basato su nuovi meccanismi sonori, ottenuti grazie a vecchi oggetti (molle, giocattoli, attrezzatura minuta); roba integrata in ciò che ai nostri occhi si presenta come un’artigianale live set strumentale di un’artista di musica elettronica.
Quella di Collivasone non era un’operazione casuale, ma studiata per ottenere una gestione della resa sonora in termini di flessibilità timbrica e ritmica: di questo artista fuori dai canoni se ne è accorto il sassofonista soprano Gianni Mimmo, che l’ha invitato a suonare con lui per un inedito duetto di improvvisazione libera; Mimmo fu intrigato dall’ascolto di Vostra Signora del rumore rosa, un lavoro di Collivasone in cui si pone un contrasto con l’interpretazione del futurismo classico, poiché suoni e rumori estratti dal cacophonator impiantano un’estetica tesa a rifiutare l’efficienza della tecnologia e delle macchine; in quella sede Mimmo capì che Collivasone cercava altro, ricerca di “lentezza” come esercizio artistico che vuole riorganizzare la comprensione e un’idea di improvvisazione da sviluppare entro dei limiti (in questo caso costruttivi), limiti che dovevano rendere notevole lo sforzo della creazione ma che al tempo stesso dovevano contenere l’espansione in rete degli assemblaggi dei rumori e suoni, con un netto avvicinamento ai lavori degli scultori sonori, alla loro verve narrativa, ma comunque come prodotto di una “macchina” che ha soluzioni definite.
L’incontro tra Mimmo e Collivasone si è attuato in Rumpus Room, un cd che lavora ad un metalinguaggio in cui si fondono le prospettive: la relazione che si instaura nelle otto tracce strumentali del cd è nettamente differente da quanto Mimmo ha fatto nel passato attraverso l’elettroacustica, distante dalle operazioni fatte più di una decina di anni fa con Ardan Dal Rì in Bespoken, dove il suo sassofono viveva in una presenza sempre concreta, ma rivestita nelle assonanze di un field recording; in Rumpus Room l’arte dei rumori vive di un significativo valore rivolto all’improvvisazione e le visuali si moltiplicano:
…a differenza di certe meta-combinazioni che conosco e nelle quali prevale un’idea sommatoria e riempitiva dello spazio sonoro, più tendente alla texture, in questo caso trovo che le linee narrative si muovano in modo plurimo. La forma si auto-compone per passaggi molto chiari anche nella densità complessiva e rende visibili certi strati derivativi di ambiti lontani…” (testimonianza di Mimmo, nostra conversazione).

La considerazione di Mimmo è una dichiarazione di intenti che porta oltre le logiche dell’improvvisazione così come la conosciamo, perché deve esporre un concetto determinato che non è sempre usuale nella logica dell’improvvisatore: non qualsiasi suono, ma suoni che si dirigono nell’area delle sensazioni riproducibili di uno stato emotivo; nel nostro caso torbido e descrittivo, selettivo e spettrale, di quelli che devono riuscire a far intravedere un cielo blu grazie al chiarore di un soprano che sta dietro ad una progressione di rumori che sembrano provenire da un’officina, con borbottii, tiraggi, vaporizzazioni, camuffamenti vocali, etc. (vedi quanto succede in Nattmara): sono nuove manifestazioni della lezione senza tempo del Poéme électronique di Varèse cucita su una tendenza improvvisativa, molto più delle operazioni melodico/radiofoniche di Kid Baltan & Tom Dissevelt proposte da Mark Burton nelle note interne.
Rumpus Room non è certamente il primo incontro tra elettronica e improvvisazione, ma è una primizia se facciamo riferimento al cacophonator di Collivasone e si spera che egli abbia voglia di continuare su questo tipo di collaborazioni. Non è difficile il collocamento di Rumpus Room nell’arte moderna, perché è lavoro che tenta di ricostituire quell’umanesimo della musica che da più parti viene invocato: qui di risultati certi della tecnologia non se ne parla nemmeno e beep, distorsioni, suonerie meccaniche, assieme alle linee melodiche o spettrali di soprano che si infiltrano nel patchwork sonoro, sono tutti espedienti pronti per aprire corridoi della sorpresa e scenari eccitanti dell’immaginazione.
A me, questi “rumori” non disturbano affatto.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.