Americana di Los Angeles, Julia Holter si sta imponendo nella critica internazionale come la miglior scoperta musicale degli ultimi anni: recensioni entusiastiche arrivano dal web e dai siti accreditati di critica. La Holter si inserisce nell’indie pop odierno con una propria proposta che è figlia del collage che caratterizza la musica pop dell’ultimo decennio. Una proposta eterea che ingloba tutta una serie di influenze: dal dream pop alla 4AD, la Kate Bush ovattata e tecnologica di “Hounds of love”, frammenti di Laurie Anderson (specie nell’atonalità della voce e nell’uso del vocoder), dell’angoscia glaciale di Nico, un uso alquanto esteso del drone al sintetizzatore, dello spazio “silente” di un Cage e di un lotto di field recordings.
La Holter ha pubblicato a breve distanza i suoi primi due lavori: “Tragedy” è il primo, ispirato da una rielaborazione in chiave moderna della poetica tragica di Euripide, ne costituisce una sua rappresentazione musicale in tempi moderni (sembra che Euripide usasse parti dialettiche per spezzare la tensione così come la Holter usa la vocalità frammentata per arrivare allo stesso tipo di effetto) e “Ekstasis”, che nel significato voluto dall’artista tradisce ancora la sua passione culturale per la Grecia antica che dava dell’estasi una sorta di raggiungimento implicito della trascendenza. La differenza tra i due è che “Ekstasis” è più aperto al canto melodico e a tracce di jazz.
Pur non avendo scoperto elementi nuovi nella musica, la Holter ne propone un mix rielaborativo che però ha il pregio del sapiente assemblamento, che cerca di evitare suoni sgradevoli o senza melodia; quello che risalta è una specie di moderato esoterismo che caratterizza la miscela musicale, che a tratti dà un’impronta di “sepolcrale” ben lontana da come siamo stati abituati a sentire nelle prove più deprimenti degli artisti dream pop o in artisti rock, che ha un substrato per così dire “ambientale” che smussa l’aderenza al sepolcrale conosciuto: musicista colta, con concisi riferimenti all’ecclesialità della musica sacra medievale, la Holter ha una scrittura di alto livello, di quelle che non passano inosservate e soprattutto si impone per il fatto che è resistente all’ascolto; la stessa viene condensata nel suo humor avanguardista che le impone di fare pause per dare spazio ai suoni ricuciti con l’ambiente. Quando questi due elementi sono coltivati al massimo delle loro possibilità (“Try to make yourself a work of art”, “Our sorrows” ad esempio) la Holter lancia il suo miglior messaggio, e cioè che le miscele eterogenee, anche quelle più ampie, funzionano ancora.