Musicisti in parallelo: John Fahey e George Winston

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Tra le più eccitanti rivisitazioni della vecchia old time music americana, quella recentemente fatta da Bruce Springsteen che rimodellava le canzoni di Pete Seeger, fu anche esperimento di buon successo commerciale, ma è innegabile che ciascun autore musicale ha più o meno modificato un suono che era già ben formato. Ma ve ne è stato uno in particolare, che negli sessanta, partendo dalla formula country/blues rurale, alla chitarra ne ha dato una incredibile versione: John Fahey, scomparso nel 2001 in una ingiusta condizione di quasi povertà, ha portato quella forma americana “primitiva” di musica in una nuova dimensione, che usciva dalla protesta per entrare in una sorta di “beatificazione”. Nel suo capolavoro “Fare forward voyagers” Fahey raggiunse uno dei punti più nobili della musica in generale, poiché riuscì a descrivere quello che non riuscivano a fare i suoi padri putativi: se questi ultimi (Blind Willie Johnson, Charlie Patton, etc.) suonavano le vicende di quegli uomini che esprimevano intolleranza ed insofferenza per le note situazioni storiche, Fahey fa un ulteriore passo in avanti cercando (attraverso la sua musica) di catturare le vicende di coloro che l’America non l’avevano solo subita, facendoli rivivere in una specie di cartolina dei loro “pensieri”: grazie ad un sapiente uso della tecnica del fingerpicking* (la quale ancora oggi ha parecchi validissimi adepti) accompagnandosi con veri e propri crescendo/diminuendo solistici quasi presi in prestito dal mondo della classica (con note più pronunciate e arpeggi calibrati alla chitarra) e con l’approfondimento dovuto alle nascenti interazioni con la cultura indiana, Fahey espose un prodotto musicale unico, che conteneva un potere evocativo straordinario. Con Fahey si è in presenza di qualcosa di più della storia degli uomini, poiché se i libri di storia in maniera acritica sottolineano le vicende storiche degli stessi,  il libro di Fahey sottolinea le sensazioni interiori degli stessi, ma cercando di ricalcare la parte positiva delle loro vicende e tenendo parzialmente soggiogate quelle negative. Questa meravigliosa positività produceva indirettamente anche un’altro effetto, che era quello della meditazione musicale, soprattutto quando si pensi alle splendide evoluzioni strumentali delle sue suites; è qui che si crea quel collante con la musica ambientale, poiché quelle stesse suites ebbero un’influenza enorme sulle generazioni che qualche anno dopo cominceranno a suonare musica “new age”. Il modello che Fahey riesce a creare è un modello “naturalistico”: vi sono momenti in cui, in uno spettacolare equilibrio tra le immagini della mente e il benessere ricevuto nell’anima, la sua musica riesce incredibilmente ad andare in simbiosi con le bellezze naturali (immensi prati verdi, laghi magnificamente inseriti ai piedi di montagne glaciali, fiumi dove il solo rumore dell’acqua produce benessere interiore); molti, non a torto, ritengono che Fahey, nell’ascolto, riusciva con la sua chitarra a far rivivere quella sensazione di purezza, di pieno respiro che si percepisce di fronte allo sgorgare di acqua da una montagna**. Si diceva che quell’aspetto meditativo è stato determinante per poter inserire il chitarrista americano tra coloro che hanno di diritto contribuito alla musica new age: a tal proposito, in Usa vi è un paese, il Montana, con ampio confine in Canada, che probabilmente era il riflesso scontato del suo pensiero compositivo; questo stato federale è stato un riferimento costante per gli esploratori del passato, come terra di conquista per gli avventurieri e fuorilegge, nonché per la sua bellezza paesaggistica; proprio Fahey, nell’ambito dei suoi musicisti preferiti, in Takoma Records scoprì il talento del pianista “new age” George Winston, che aveva evidenti agganci a quell’immaginifico patrimonio folk rurale a cui Fahey si ispirava.

 

Winston (che era cresciuto nel Montana), oltre a scrivere il suo piccolo trattato musicale sulle “quattro stagioni” (che costituirà la prima fonte d’ispirazione di tutti i pianisti new age del futuro), scrisse anche uno specifico per quella regione ed è evidente come anche lui rimarrà attratto dalla poesia e dalle immagini di quelle terre che probabilmente furono un pensiero ricorrente anche di molti poeti moderni (T.S.Elliot per esempio): Winston, rispetto a Fahey aveva però una concezione più “impressionistica” della musica che nel disco dedicato ,”Montana – A love story” è palesemente espressa. Negli episodi migliori, non legati necessariamente al relax o a scontati tributi, si può affermare che Winston costruisce un suo stile fatto di quei stessi crescendo/diminuendo di Fahey (stavolta compiuti al piano) e che lo stesso rappresenta un particolare musicista che traeva dal folk rurale dei suoi predecessori e dalle caratteristiche dell’ambiente vissuto una indispensabile fonte d’ispirazione.
 
 
 
*Il fingerstyle (letteralmente “stile del dito”), fingerpicking (lett. “pizzicare con le dita”) o diteggiato è una tecnica usata per suonare la chitarra, il basso o altri strumenti a corda, eseguita usando le punte delle dita o le unghie al posto del plettro. Se non ci si riferisse ad alcune caratteristiche peculiari del fingerpicking/fingerstyle, tale definizione si adatterebbe altrettanto bene allo stile classico, insegnato nei Conservatori. In buona misura, la caratteristica, almeno originariamente, essenziale, del fingerpicking è l’uso del pollice della mano destra che suona il “basso alternato”, cioè marca ogni quarto della battuta suonando una nota bassa in armonia con le note suonate con le altre dita. Fonte Wikipedia Italia
 
**…weave a slow, hypnotic flow of tinkling sounds, a majestic tide of free-form melodic fragments. These lengthy meditations work at two levels: first they evoke wide landscapes and imposing nature, and then they resurrect the ghosts of all the people who roamed them. The dreams of the explorers, the anxiety of the adventurers, the hopes of the pioneers are joined together, but Fahey shuns the epic mode and prefers a form of domestic impressionism, which is tender and warm. His art is about the collective myths of mankind. His musical pilgrimage represents the odyssey of all the “Ulysseses” who traveled (walked, rode, sailed) towards the unknown….Fonte: Scaruffi, The history of rock music
 
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.