I lettori più attenti avranno notato che tra i dischi del decennio inserii, nella parte riservata alla world music il nome del giovane musicista turco Erdem Helvacioglu, suscitando forse perplessità negli stessi. Le proiezioni musicali di quel disco lo rendevano un’episodio del tutto particolare. Se tutte le combinazioni musicali sono possibili si deve ammettere che oggi è un lusso l’esistenza di una classificazione (anche poco rigida) tra i generi; Erdem risponde a questo eterogeneo principio soprattutto perchè appartiene a quei musicisti intelligenti che cercano di battere tutti i sentieri moderni possibili e conosciuti; è un compito arduo, che spesso può non portare da nessuna parte se non viene adeguatamente “pensato” e “calcolato”, cosa che Erdem ha affrontato ponendo sullo stesso piano gli elementi che lo hanno formato: “Altered Realities” si muoveva nei meandri di un resonant ambient ma non era solo quello, conteneva un approccio alla composizione che era prerogativa dei compositori classici, ma non era classica, conteneva continui riferimenti alla musica popolare turca e alle sue modalità di costituzione, ma non era world music. In questa situazione di apparente evanescenza, Erdem ha quindi costruito un’immagine che è innovazione e rispetto per il passato: la laurea presa all’ITU-MIAM, un’istituzione musicale turca specializzata nella composizione elettroacustica, riapre la problematica delle intersezioni tra modi di concepire musica, soprattutto nelle forme più contemporanee. Erdem non è solo uno sperimentatore di elettronica teso a creare “sculture” di suono, ma anche un compositore e musicista con una sua idea ben precisa: in “Altered realities” c’è la voglia di costruire in una struttura “ambient” le stesse sensazioni di un compositore classico (con tanto richiamo alla tradizione): i mezzi “elettronici” a sua disposizione sono gli strumenti per creare le colorazioni di un ipotetico brano colto; come tanti musicisti o compositori anche Erdem ad un certo punto fu inevitabilmente attratto dalle immagini musicali di Schoenberg e Webern, ma dalle immagini “sonore”, non quelle “teoriche”. Come afferma in una sua intervista su Tokafi…”.. Penso che questo sia un tempo per combinare idee diverse in un modo molto libero e vivace, piuttosto che attenersi a formule. Una battuta molto aggressiva hip-hop può facilmente fondersi con una melodia a 12 toni e a dei timbri di chitarra radicalmente manipolati……”
In questa sua poliedricità di pensiero risiede anche la sua originalità che non è solo frutto di un copia ed incolla, ma il risultato di un lavoro svolto sulla personalità dei suoni e che vi fa scambiare “Altered Realities” per un disco di post-wordl music, di ambient-neoclassica, di elettronica jazz: non resta fermo da nessuna parte. Il suo lavoro si presenta quindi, quasi naturalmente e socialmente pronto per essere abbinato ad una colonna sonora di un film d’essai: “Eleven Short stories“, terzo disco solista organico, paga questo tributo al cinema distogliendo l’attenzione dalla chitarra modificata per dirigersi su pianoforte preparato con ampio ventaglio di suoni ricavati dagli interni dello stesso, alla ricerca di quei suoni “significativi” dal punto di vista delle emozioni.
-Altered realities, New Albion 2006
-Resonating universe, con Sirin Pancaroglu, Sargasso 2011
-Eleven short stories, Innova 2012