Pensi che il modo di suonare musica elettronica in Europa sia molto diverso da quello degli americani?
Sì, direi proprio di sì. Il suono europeo nella synth-music è stato ovviamente dominato dalla Berlin school. Il suono americano, invece, secondo me, ha un senso dello spazio maggiore – come quello che puoi ascoltare nei dischi di Steve Roach e Robert Rich. Certamente questa è una semplificazione, perché ci sono punti di sovrapposizione delle due scuole in moltissimi musicisti, ma io penso che questa differenza abbia a che vedere con i paesaggi. L’America del Nord ha queste enormi distese che non trovi in Europa e per me questo basta a spiegare la differenza principale tra i musicisti dei due diversi continenti.
Ian Boddy intervistato da Roberto Mandolini, Onda Rock
Il normale adeguamento che subì l’elettronica dal passaggio dai canoni della ricerca “classica” a quelli più aderenti ai gusti del pubblico rock fu materia diversa nei due continenti principali: in Europa, e in particolare in Germania, la scuola di elettronica berlinese ebbe diverse sfumature con cui si manifestò; tra queste una delle più abusate nel tempo sarà quella appartenente alla sfera della “melodia”. Grazie all’intervento storico di personaggi come Jean Michael Jarre o di Vangelis (cresciuti in Francia ma aderenti al modello tedesco) si riuscì a sposare la tipica passione mediterannea della melodia (in Italia anche Battiato vi aderì per un periodo della sua carriera) e della cantabilità ad essa collegata con la prima stratificazione di elementi “tecnologici” che proveniva soprattutto dalle scoperte innovative che erano state compiute sui sintetizzatori. Ma il merito fu anche quello di non portare questa tipologia di elettronica su terreni troppo vicini alla “commerciabilità”, ossia il rischio di rendere poco credibili queste innovazioni. Jarre e Vangelis non furono chiaramente soli in questo percorso, poichè molti altri artisti (tedeschi e non) che si distingueranno in altre filiazioni dell’elettronica, ne furono anch’essi precursori: si pensi a Schultze e ai suoi Tangerine Dream con derivazioni “cosmiche”, o il primo Mike Oldfield melodico ma tendente al progressive rock, o a Steve Roach che del fattore musicale berlinese trasse i primi fondamenti per la creazione di una propria programmazione del suono che sconfinò nel tribalismo elettronico quando non ne arrivò una vera e propria fluttazione new age.
Uno dei principali veterani inglesi appartenenti a quella scena, l’inglese Ian Boddy, costituì già uno dei primi ibridi tra modelli, in quanto si mettevano assieme slanci cosmici e new age di stampo schulztiano con la melodia articolata di Jarre e Vangelis costruita con forti substrati indiretti di classicità strumentale: anche Boddy era probabilmente affascinato dalle forme sinfoniche con tanto di cori con poca misticità. L’inglese può considerarsi ancora oggi un punto di riferimento per le nuove generazioni di musicisti elettronici, grazie anche al fatto che la sua buona popolarità acquisita negli anni ottanta soprattutto è stata convogliata nella creazione (direi in maniera pressochè costante) di opere costruite con quel solito taglio; allo stesso tempo la Din (questo è il nome dell’etichetta di sua proprietà) accoglie un ristretto numero di ottime nuove leve con le quali Boddy ha anche avviato fruttuose collaborazioni. Il passaggio alla Din Records, dopo l’appagante esperienza Something Else Records, ha sicuramente segnato un cambio di rotta non solo dal punto di vista delle strategie commerciali, ma anche da quello artistico: fino a quel momento Boddy era pienamente immerso nella sua elettronica “melodica” (nella considerazione della critica specializzata alcuni suoi albums come “Phoenix” o “Odissey” vengono considerati molto sbrigativamente i suoi capolavori), ma non disdegnava la forma di espressione più lunga, la suite elettronica che gli permetteva un maggiora aderenza ai temi e soprattutto gli consentiva di sorvolare sulle trappole che una composizione melodica poteva comportare: in questo senso mi sono sempre sembrati più costruttivi e personali quegli episodi che vengono stranamente scartati dai critici forse perchè si fa fatica a trovare un classico in questo modo: gli albums “Spirits”, “Jade” andrebbero rivalutati e messi a confronto con i suoi sforzi più eclatanti che possono rinvenirsi in “In the deep” e nelle suites di “Continuum”, ma soprattutto quello che segna il passaggio all’emancipazione discografica è da ravvisare in un cambiamento che sposta il baricentro delle sue composizioni da una ben misurata melodicità dei temi ad un riflessivo ripiegamento dei suoni che acquistano più il carattere dell’esplorazione: in questo senza dubbio Boddy riceverà un grande contributo dalle collaborazioni in vivisezioni con Robert Rich, che hanno su disco pari opportunità di esplicazione, nonchè (tra le tante) quelle effettuate con Mark Shreeve sotto lo pseudonimo del gruppo Arc, quella con Ron Boots e quella più “introversa” con Markus Reuter (musicista personalissimo messosi in luce con due albums pienamente esplicativi della sua visione artistica, “Taster” e “Digitalis”). Pochi episodi in solitudine nel decennio 2000-2010 e di scarso peso affliggono un artista enorme in evidente affanno di vedute; le sue ultime due pubblicazioni (con il solito target massimo delle 1000 copie di tiratura) sono la sua migliore raccolta di sempre, “The Pearls“, doppio album dove viene riassuntivamente ripercorsa tutta la sua carriera con un intelligente scelta dei brani, e il nuovo “Strange Attractor” che con molta classe riesuma l’elettronica periodo Something Else R. accostandola al nuovo corso intrapreso, con 5 nuovi brani che presentano dal vivo un musicista che sa trarre dalla sua esperienza trentennale sonorità che hanno ancora il potere di imporsi alla nostra attenzione.
Discografia consigliata:
-Spirits, Something Else 1985
-Jade, Something Else 1988
-The Deep, Something Else 1994
-Continuum, Something Else 1996
-Phase 3, Something Else 1997 (with Ron Boots)
-Distant rituals, Din 1999 with Markus Reuter
-Radio Sputnik, Din 2000/Blaze, Din 2003, with Mark Shreeve (ARC)
-Outpost Din 2002/Litosphere Din 2005, with Robert Rich