“Like a bird on the wire, like a drunk in a midnight choir, I have tried in my way to be free”
Spesso nella letteratura o nella poesia sotto le sua varie forme si nascondono quelle frasi “veritiere” che colpiscono l’intelletto e il cuore del lettore poichè perfettamente aderenti al suo modo di pensare su quell’argomento: è come se si fosse accesa una luce chiara che fine ad allora il nostro inconscio vedeva in maniera nebulosa. Leonard Cohen, prima poeta e poi cantautore, fa parte di quel mondo a cui accennavo con la frase d’ingresso di questo articolo: artisticamente inserito nell’epoca di Dylan e dei poeti beat, ebbe la fortuna di registrare il suo primo disco quando il profeta del folk era nel pieno delle sue forze, ma Cohen se ne differenziava sostanzialmente, perchè la sua era una scrittura interiore ben diversa dal colto esistenzialismo dell’americano: la sua splendida “Suzanne”, canzone con cui esordisce nel suo “The songs of L. Cohen” è il suo manifesto programmatico; divisa dal punto di vista strofico in tre parti, ognuna di esse chiarisce gli argomenti da trattare attraverso il “trasporto” quasi dantesco di Suzanne. Nella prima strofa si fa strada il suo concetto della comunione di spirito che può coinvolgere coloro che hanno affinità di pensiero o culturali indipendentemente dal sesso …..”Suzanne takes you down to her place near the river/You can hear the boats go by/You can spend the night beside her/And you know that she’s half crazy/But that’s why you want to be there/And just when you mean to tell her/That you have no love to give her/Then she gets you on her wavelength/And she lets the river answer/That you’ve always been her lover……” Nella seconda esamina il rapporto con la religione con le dichiarazioni di un Dio evidentemente diverso da quello che siamo soliti incontrare, un dio fragile e filosofico, che è alla ricerca della vera libertà degli uomini (Cohen avrà diverse sbandate mistiche, una delle quali lo portò recentemente ad internarsi in un monastero zen allo scopo di rinfrancarsi lo spirito)….”And Jesus was a sailor/When he walked upon the water/And he spent a long time watching/From his lonely wooden tower/And when he knew for certain/Only drowning men could see him/He said “All men will be sailors then/Until the sea shall free them”/But he himself was broken/Long before the sky would open/Forsaken, almost human/He sank beneath your wisdom like a stone……” La terza rimanda al sociale, alle contraddizioni del mondo ed in maniera più indiretta al vuoto e alla desolazione che possono comportare eventi come quello bellico (in seguito Cohen ritornerà più specificatamente sul tema, sottolineando le implicazioni interiori degli animi dei soldati)…… “She is wearing rags and feathers/From Salvation Army counters/And the sun pours down like honey/On our lady of the harbour/And she shows you where to look/Among the garbage and the flowers/There are heroes in the seaweed/There are children in the morning/They are leaning out for love/And they will lean that way forever/While Suzanne holds the mirror……..”
Quindi una triade perfetta, che trovò anche una sua semplice ed efficace espressione musicale: una voce oscura (che diventerà più propriamente baritonale con gli anni), alcuni arpeggi alla chitarra e delle voci femminili di contorno ed una strana dolcezza fuori dal normale: Cohen pone le basi per uno stile unico, esistenzialista, che diventerà al riguardo, una pietra angolare per tutte le future generazioni di musicisti. Molta critica contesta l’americanità del personaggio, che sembra aver avuto più influenza dagli chansonnier francesi che dai folksingers statunitensi; se questo è in parte successo nel periodo “puro” del cantautore canadese è evidente che se si scorre la sua carriera discografica diventa impossibile negare la sua piena americanità e l’aver sposato, oltre al folk, generi come il blues e le sue derivazioni. La magia di quella prima formula semplice ed emotiva, durerà fino a “New Skin for the old Ceremony”, poichè a prendere forma nella carriera musicale di Cohen sono infatti gli arrangiamenti e la produzione. La verve poetica non lo lascerà mai, ma nella sua musica avvengono degli importanti cambiamenti. Innanzitutto Cohen cerca una simbiosi nei ritmi e nella scansione dei tempi: il funk e R&B degli anni settanta, la dance music anni ottanta, le marcette sintetizzate per poi arrivare fino al dub dei giorni nostri: in questo lungo asse del tempo, Cohen non è molto prolifico (una media di pubblicazione bassissima) e qualche volta delude l’impianto musicale costituito, così come avviene negli episodi meno riusciti (ma rispettabili) di “A death of ladies man” o “Recent songs”. Più dinamica e meglio costruita si presenta la triade “Various Positions” (che contiene alcuni dei suoi brani più famosi), “I’m your man” e soprattutto “The future” che restituiscono un Cohen ispirato ma musicalmente spesso al limite di un’empasse alla Serge Gainsbourg. “The future”, in particolare, fu profetico, poichè costituiva uno spaccato desolante della società contemporanea a venire che partendo da una inefficace social-democrazia riduce l’uomo alla rassegnazione. Poi con “Ten new songs” e il successivo “Dear Heather” il tono si fa quasi glaciale, oscuro e moderato, come se Cohen fosse rimasto seriamente incarcerato dai suoi stessi pensieri.
Discografia consigliata:
-Songs of Leonard Cohen, Columbia 1968
-Songs from a room, Columbia 1969
-Songs of love and hate, Columbia 1971
-New skin for the old Ceremony, Columbia 1973
-Various Positions, Columbia 1984
-I’m your man, Columbia 1988
-The future, Columbia 1992