Il controverso Chick Corea

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Al Di Meola e Chick Corea sul palco di Rochester, New York, nel 1976. Chick Corea Di Tom Marcello . Licenza: CC BY SA 2.0

Personaggio musicalmente eclettico, il pianista Chick Corea (di origini italiane) ha da sempre spaccato letteralmente il mondo degli appassionati del jazz: da una parte i jazzofili “tradizionali” lo hanno osannato, mentre quelli “avantgarde” hanno avuto pochi spunti per innamorarsene: al di là dell’annosa questione sul fatto di considerarlo o meno uno degli “originali” della musica jazz, dopo ormai decenni di onorata carriera, sembra imporsi un bilancio del musicista americano, anche alla luce delle nuove esperienze che il pianista sta cercando nel mondo della musica classica.
Molta critica (forse a ben vedere) ritiene che i primi anni della carriera di Corea siano stati i migliori e senza mezzi termini irripetibili: l’esordio boppistico di “Tones for Joan’s Bones” mette in evidenza un pianista jazz appartenente alla razza dei “velocissimi”, con un stile a cascata già conosciuto nelle note dinamiche pianistiche di McCoy Tyner. “Now we sings now we sobs”, il successivo disco in trio con Miroslav Vitous e Roy Haynes, rappresenterà una sorta di embrionale e riassuntivo suggello dello stile di Corea: oltre alle consuete dinamiche tendenti alla modalità e a un frizzante neobop, quello che emerge sono gli accenti “latini”; non solo, nell’ultimo breve brano di quel disco (The Law of falling and catching up) è contenuta la sua prima svolta verso il free jazz e le avanguardie: infatti subito dopo fonda il gruppo dei Circle con Braxton e Holland e pubblica parecchi concerti che sostengono le sue prime incursioni nell’ibridazione con elementi musicali del mondo classico/contemporaneo; nonostante sia forte la sensazione che quel mondo possa stare addosso perbene solo a Braxton, il livello tecnico di Corea risulta elevato alle orecchie di chiunque fa buoni ascolti. Comunque quella frontiera non verrà più superata e il free jazz viene ancora coltivato da Corea con un altro progetto, forse meno cervellotico e più diretto, ossia quello costituito con un sestetto composto da Holland, DeJohnette, Laws, Woody Shaw, Bennie Maupin, da cui emergono i due lavori di “Is” e “Sundance”. Corea è molto motivato a far bene nel jazz e si propone in un periodo in cui si faceva strada anche il pianismo eterogeneo di Keith Jarrett, tant’è che molti non riescono a captare bene le differenze di stile e li confondono: in verità la differenza risiedeva nel tocco pianistico e nel riferimento classico rappresentato; una forza soprannaturale nei polpastrelli per un Jarrett molto addentrato nei tempi impressionisti, una fluttuazione decisa e leggiadra per Corea, romantica quasi quanto Chopin. Corea ottiene anche il suo primo contratto con la Ecm Records che formalmente sancisce la seconda svolta: i due volumi di “Piano Improvisations” sono colorazioni del piano che risentono in maniera evidente dei riscontri classici dell’ottocento, una rincorsa a ritroso nel tempo che arriva quasi alla classicità di Mozart ma che non perde contatto con le nuove tendenze pianistiche; è in queste improvvisazioni al pianoforte che Corea forma il suo futuro marchio distintivo, guadagnando consensi grazie anche alle melodie degli impianti musicali frutto di una mediazione con un’altra tendenza, quella del rock. D’altro canto non dimentica la latinità e avvicinandosi a Flora Purim e Airto Moreira, paladini di uno specifico approccio al suono brasiliano, prende spunto per creare il progetto musicale migliore della sua vita artistica: sfruttando le conoscenze derivanti dall’uso delle nuove tastiere che funzionano a piano elettrico, già ampiamente esplorate in senso trasversale per Miles Davis, Corea tira fuori i Return of Forever, gruppo antesignano della fusion (inteso come commistione dell’improvvisazione jazz con la ritmica del rock) e soprattutto di una fusion “latina”, dove si inventa ordinate e sospensive formule che mediano a meraviglia cantabilità e rigore artistico; dopo l’esordio, il gruppo si ripeterà nel successivo  in “Light of feathers”. Questa semplice ed esaltante formula che al jazz deve ancora molto e che rimane probabilmente la miglior espressione del pianista nel tempo a livello compositivo verrà gradualmente smantellata con gli innesti di Clarke, Di Meola, White e molti altri musicisti, per favorire una più accentuata dinamica ritmica, che spesso manda in crisi l’ascoltatore, perché ad un certo punto lo porta verso le sensazioni di un imbarazzante supergruppo di progressive rock. Con gli ultimi lavori dei Return to Forever intorno al 1977, regredisce anche l’ispirazione di Corea, anche nell’intraprendenza di numerosi progetti in duo, trio, quartetto etc. di jazz o di progetti acustici ed elettrici simili a quello dei Return to Forever: i risultati appariranno sempre piuttosto scontati però. Se si eccettua un quartetto con starring partner Michael Brecker (che forse suscita interesse più per il modo di suonare dello straordinario sassofonista) ed una bella esibizione con Hancock (altro paladino del modalismo pianistico) condivisa in due cds di brani già conosciuti e pubblicati su altri dischi, si nota in tutto il resto della discografia di Corea tanto mestiere e poca magia. L’approccio di Corea alla musica colta viene segnalato dalla registrazione ufficiale dei suoi “Corea’s Concerto”, in cui il pianista tentava di inserire un trio di jazzisti nel contesto più ampio di un’orchestra: la nuova versione di “Spain” e un concerto per piano, mostrano un personale tentativo di amalgama con gli ensembles più larghi; Corea è attento a non creare troppa sovrapposizione, mantenendo un possente controllo della partitura al piano. Comunque, sia per i rimandi storici importanti (l’orchestrazione è simile nell’incedere a quello fatto dai compositori sudamericani nel primo novecento), sia per la coerenza del tema e dei tocchi latini, viene evitata la monotonia di molta sua produzione.
Con “The continents” per quintetto jazz ed orchestra, Corea ci riprova ma il risultato è nettamente inferiore: sia il concerto n. 2 (dedicato ai continenti), sia la seconda parte della raccolta dedicata agli standards di Kenny Dorham, scorrono con quella ovvia semplicità in un rapporto con la storia che è come scontrarsi con degli iceberg: Corea si inserisce in quella visuale vetusta di una presunta sensibilità artistica che è uno dei punti d’arrivo di molti musicisti amanti della latinità (vedi Rubalcaba, certe cose di Di Meola), ma che oggi ha bisogno di ripensamenti critici per suscitare più interesse. Più focalizzata invece è la serie di miniature pianistiche che sorreggono la struttura dell’altra pubblicazione per la Deutsche Gramophone, “On two pianos” con lo scomparso Nicolas Economou, pianista specializzato in repertorio romantico, ripresi in concerto a Monaco nel 1981 e ’82.

Discografia consigliata:
Esordi:
-Tones For Joan’s Bones, Phantom 1966
-Now He Sings, Now He Sobs, Emi 1968
-Complete Is sessions, Blue Note 1969
-Circle 2: Gathering, Stretch R. 1971
Con i Return to Forever:
-Return To Forever, Polydor 1972
-Light as a Feather, Polydor 1973
-Where Have I Known You Before, Polydor 1974
Altri:
-Crystal Silence, with Gary Burton, Ecm 1972
-An Evening With Chick Corea & Herbie Hancock In Concert, Columbia 1978
-Three Quartets, Universal 1981, con M.Brecker, S.Gadd, E.Gomez
-Corea Concerto, Sony 1999

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.