In Svezia la scena attuale jazz mostra una grande eterogeneità delle forme e dei contenuti da esportare in musica: si parte dal jazz tradizionale fino ad arrivare al free più radicale, dallo sviluppo delle istanze jazzistiche studiate in funzione di una piena sistemazione nelle possibilità interattive dell’elettronica, a qualsiasi tipo di contaminazione indirizzata alla sperimentazione. Sono senza dubbio tutti segnali del vigore e della serietà con cui viene presa in esame la musica e rivelano una profonda maturità dei musicisti che compongono quella scena, che riproduce una percentuale dei progressi che la Svezia ha fatto su tutti i generi. Tra questi, Mats Gustafsson è uno di quei musicisti che sta portando avanti una sua ricerca, che se da un lato non riesce a colpire all’istante per la difficoltà di comprensione della proposta, dall’altra è un’originale fattezza sui timbri e soprattutto sui timbri dei sassofoni dai toni più bassi: lo svedese, già da anni intensamente impegnato in vari progetti, quando ha avuto l’ispirazione giusta, ha messo da parte la sperimentazione a sé stante per privilegiare l’espressione. Soprattutto negli albums in solo e in alcuni progetti di varia natura, il sassofonista ha dimostrato di poter donare al mondo musicale una sua personale rivisitazione dei tempi moderni, inserendo nel faticoso stile da sassofonista basso o baritono, una sua rilettura dell’odierno, combattuto da una delle più profonde alienazioni sociali vissute nella storia: il suo sax urla, si dimena, si scaglia e piange, come in una moderna incarnazione espressionista . Ma la sua liricità non viene meno nelle situazioni più “estetizzate” quando deve mostrare il suo lato buono ed il tono si fa improvvisamente più riflessivo e pacato. Gustafsson sta dando realmente un contributo unico al suo strumento e sinceramente non capisco perché i “critici” più attenti ed aperti non gli abbiano mai dedicato un profilo o una scheda non strettamente biografica. Se la conoscenza negli ambienti del jazz è avvenuta grazie agli intensi rapporti creati con i jazzisti radicali di Chicago (Brotzmann, Lonberg –Holm, Zerang, Vandenmark, etc.) con i quali ha suonato in formazioni allargate ad otto e dieci elementi, Gustafsson ha svolto un grosso lavoro di sperimentazione anche nella madrepatria, soprattutto con il gruppo a tre dei “The Thing” composto da Ingebrigt Haker Flaten e Paul Nilssen-Love, con cui ha pubblicato una quindicina di cds e recentemente con il gruppo dei “Jazz Pa Svenska” in coabitazione decisoria con Per Ake Homlander, destinato alla riesplorazione del patrimonio jazz svedese degli anni cinquanta e sessanta in chiave moderna sotto forma di improvvisazione free con live electronics. (si tratta del jazz del periodo d’oro svedese con accenti di folklore rappresentato da Lars Gullin, Jan Johansson, Bernt Rosengren, Georg Riedel, Lars Werner, etc.). Con una discografia vastissima e per molti versi irreperibile, Gustafsson è passato dai toni delicatamente abrasivi delle collaborazioni con Anders Jormin e Guillermo Gregorio, a quelle avanguardistiche ma piuttosto aride con molti artisti free, senza dimenticare quelle immerse nel “noise” con l’Orchestra Jazz di Otomo Yoshihide. Il progetto dei Fire!, portato avanti anche con Jim O’Rourke, con il quale aveva pubblicato già un disco in passato di tutt’altra natura (il disco era “Xylophonen Virtuosen per la Incus 1999), ne costituisce una nuova eccitante prospettiva: i due episodi discografici finora pubblicati, possono considerarsi come tra le migliori prove di simbiosi strumentali effettuata con altri artisti, poiché qui parlare di jazz diventa realmente difficile se non prendiamo in considerazione quantomeno lo spirito e la provenienza: si tratta di un progetto “psichedelico” (inteso nell’incedere dei brani e nella tipologia d’insieme), “noise” (perché pesca nella ricerca estetica dei rumori ), tipicamente “espressionista” (poiché teso a riproporre il tema dell’alienazione umana contemporanea). La chitarra di O’Rourke e soprattutto il sax di Gustafsson impongono un clima di tensione musicale, che pur memore delle esperienze fatte in taglio psichedelico anni sessanta con elementi di “cosmica”, ne differisce per la profondità dei suoni, che aggrediscono l’ascoltatore, portandolo vicinissimo al confine tra la rappresentazione musicale e la realtà.
Discografia consigliata:
Solo:-The education of Lars Jerry, Xeric 1995 /-Windows: The music of Steve Lacy, Blue Chopsticks, 1999/-Catapult, il suo capolavoro al baritono, Doubtmusic, 2005/-The Vilnius Implosion, No Business, LP, 2008 Collaborazioni:-Opus Apus, LJ Records, 1996 (in trio con Anders Jormin e Christian Jormin)/-Background Music, Hatology, 1998 (con Guillermo Gregorio e Nordesen)/-The thing, 2000 (in trio con Haker Flaten e Nilssen-Love)/-Onjo, Doubtmusic, 2005 (con Otomo Yoshihide’s New Jazz Orchestra)/-Jazz pa svenska, Not two, 2010 (con I Swedish Azz)/-You liked me five minutes ago, Rune Gramofon, 2009 (con I Fire!, O’Rourke) Strumentista:-Chicago Octet/Tentet: Stone/Water, 1999 – Broken English, 2000 e soprattutto Short visit to nowhere, 2000, che contiene un’improvvisazione di un suo tema, tutti per la Okkadisk.