La musica di Ivo Perelman è anche spendibile su un piano organizzativo: trovare soluzioni nell’improvvisazione con la complicità degli archi è un modo per trarre corrispondenze e sondare campi del suono che hanno una particolare configurazione sul lato emotivo; riprova è il soggiorno inglese di Perelman a Londra, che ha dato origine a Strung Out Threads, progetto che impegna una triade d’archi di base (violino a Phil Wachsmann, viola a Benedict Taylor e violoncello a Marcio Mattos) più la chitarra dieci corde microtonale di Pascal Marzan.
Ho già rilevato in passato come ogni volta che Perelman ha improvvisato con archi i risultati sono stati sempre eccellenti e Strung Out Threads conferma quanto pensato: se andiamo a vedere il lavoro di Perelman con formazioni violino-viola-cello, troviamo il capolavoro di The Alexander’s Suite, dove la triade utilizzata (Hwang/Lawrence/Ulrich del C.T. Quartet) grondava classicità musicale dentro le rivoluzioni d’espressione; poi c’è The passion according to G.H. (doppio violino con Fung Chern Hwei e Gregor Huebner più Lawrence e Harman del Sirius Quartet), lavoro incredibilmente dotato di una tendenza realistica e redentiva e poi più recentemente lo String 1 (due violini con Feldman e Hwang e la viola di Maneri), un eccezionale lavoro di laboratorio, dal tono scientifico e senza violoncello.
Qual è l’indirizzo emotivo a cui si indirizza Strung Out Threads? Si legge all’interno della confezione che “…the music was created spontaneously by improvisation and following some little verbal suggestions…“; la suggestione è un’indicazione di massima tendente ad un’uniformità e parità di ruoli dei musicisti: “…I just told the string players that I felt I was part of the string ensemble as another string player so that wasn’t a sax+strings project but more like a string ensemble...” (Ivo Perelman, testimonianza diretta). Aldilà di questa generica affermazione, la sensazione è che si sia puntato verso un’ulteriore elaborazione dell’articolazione degli strumenti che passa attraverso il messaggio della sostanza fonetica suggerita dalla titolazione, probabilmente frutto della tendenza londinese nel sfruttare un coacervo variabile di incontri tra sax, corde e canto (con la partecipazione dei cantanti Phil Minton e Jean-Michel Van Schouwburg): se pronunciate in successione i titoli (Starts, Strolls, Strips, Streams, etc.) ottenete uno stiracchiamento verbale che è proprio quanto si vuole ricavare dall’attività musicale improvvisativa e l’idea di uno stretching delle corde si accorda alla testimonianza di Perelman prima menzionata, ossia usare in maniera creativa il sax tenore tenendo conto dell’elasticità degli strumenti a corda. E’ logico, dunque, volare a mille sulle similitudini melodiche, con Perelman che fa un incredibile lavoro di interplay e scanerizzazione del proprio strumento, mettendo in piedi dei profili intonativi adeguati alle sollecitazioni che arrivano dai suoi partners: una pletora di segmentazioni, striature, perdite improvvise di tono, si avvicendano in un percorso atonale e a tratti “dolente” per via della microtonalità prodotta.
L’orientamento emotivo di Strung Out Threads è perciò quello di una reinvenzione inaudita della torsione, della perturbazione climatica (naturalmente non riferita alla condizione meterologica): è mormorio, ricerca di comunicazione, attrazione sugli specchi, immagini sfocate, delusione, frenesia, mancanza di punti d’appoggio, la fine di una serata a bere, le seggiole che si spostano. Da questo punto in poi, potrebbe essere una buona idea per Perelman muoversi sul versante del fonosimbolismo dell’improvvisazione, ossia far reagire timbri ed articolazioni in rapporto ad una scala semantica specifica del linguaggio. Quella di Perelman è oramai microbiologia musicale, è onomatopeica moderna, casistica di fasi e trasversalità mentali (sentire quanto succede in Streets o nella successiva Straws): solo in alcuni momenti il suo sax suona un tantino consono al jazz, soprattutto nel secondo cd, ma i territori bazzicati richiedono ancora la comprensione e l’indulgenza dell’ascoltatore. Ma la ricompensa è grande.