Nello spazio di tempo vissuto per ricevere la notizia della pubblicazione di Emblema, nuovo cd del compositore Osvaldo Coluccino per Kairos R, ero contemporaneamente immerso in un ascolto approfondito su un cd di Anna Von Hausswolff, giovane cantante svedese che mi intrigava anche per via di una citazione letteraria effettuata a supporto del suo lavoro. Si trattava di un passo di un poema di un misconosciuto scrittore svedese dal nome di Walter Ljungquist, scomparso nel 1974, a cui la cantante si ricollegava con quattro righe essenziali e fatali per descrivere la contemporaneità:
“…take the fate of the human being, a thin pathetic line that contours and encircles an infinite and unknown silence. It is in the this very silence, in an only imagined and unknown centre, that legends are born. Alas! That is why there are no legends in our time. Our time is a time deprived of silence and secrets; in their absence no legends can grow…“.
C’era un’inaspettata “consonanza” filosofica tra Coluccino e Von Hausswolff (via Ljungquist).
Per il ciclo di Emblema, posto in cui ho scritto le note critiche e introduttive in una piena ambientazione di fede contemporanea, mi sembrava particolarmente reale e vicina alla musica di Coluccino l’affermazione di un “..tempo privato del silenzio e dei segreti..“, una circostanza che ben spiegava anche la rarità dei contenuti che ho provato a descrivere. La società voluta da Twitter o Facebook non è certo una società che può fregiarsi del silenzio e nasce in una totale ed indiscriminata condivisione; anche la musica sta conoscendo queste discrepanze e non lascia spazio al silenzio degli artisti coscienziosi, alla riflessione e all’emersione di leggende erga omnes.
Detto questo, per coloro che vogliono avventurarsi in quest’ulteriore manifestazione di sostanza dell’arte, prima di approdare alle parole di Coluccino e alla sua musica, c’è una bellissima cover, un frammento di un dipinto di Enrique Fuentes che proietta un meccanismo visivo vitale e polarizzante, e le mie note, che qui sotto riporto in italiano (le troverete nel cd anche in inglese, tradotte da Osvaldo).
Ringrazio Coluccino per la stima riposta, nettamente contraccambiata.
Nell’ampio dominio della musica contemporanea, l’originalità di una proposta viene raggiunta solo con un particolare “raggiro” delle condizioni compositive: la scelta di utilizzare alcuni materiali secondo regole che bistrattano gli elementi che compongono la musica (modificazioni o azzeramento dell’armonia, della linea melodica, dei tempi, delle dinamiche, etc.), proietta il pensiero del compositore, aldilà di qualsivoglia scoperta sui suoni. Questo pensiero, peraltro, è elaborato anche su fattori interdisciplinari con le altre arti: solitamente il compositore è anche un celato poeta, pittore o scrittore, che nella musica riversa il collegamento.
Osvaldo Coluccino (1963) è un esempio lampante di questi principi: il “raggiro” proposto da Coluccino (che è anche un poeta) ha una fantastica via di uscita, perché lavora su un approccio che sviluppa il binomio musica-arte in un modo che solo in pochi sono riusciti a formulare in maniera chiara e compiuta nella musica contemporanea. La sua musica ha un’evidente impronta simbolista che l’ascolto maturo restituisce in toto: è una struttura costruita per fotogrammi, dove gli strumenti appaiono e sfumano, le tinte sono tenui e si viene trasportati in un incredibile mondo sonoro dell’interiore, una suggestione che risponde in immediatezza al nostro animo, per cercare spiegazioni: come essere davanti ad un dipinto in cui le figure o gli oggetti sono in grado di muovere senso, di fare affermazioni e di avere una voce, nonostante l’immobilità sia quello che si presenta fisicamente ai nostri occhi.
Attraverso la musica di Coluccino si coglie un’immagine neurale che, per tipo di scoperta, al tempo stesso può dar brividi o esser accogliente, una vitalità che si addentra nei pensieri più intimi di ciò che ci circonda, che ci fa scattare domande profonde e pertinenti attraverso i suoi attori e, senza complessità e ripetizioni, riesce ad essere la materia unica e sufficiente per l’espansione musicale. Mi sento di poter affermare che Coluccino sta compiendo uno dei più degni percorsi di continuazione del simbolismo contemporaneo in Italia: penso alle grandi ed inerenti esperienze di Luigi Nono o, più tardi, a quelle di Stefano Gervasoni, autori che lo legarono però ai caratteri fonetici e semantici del linguaggio, imponendo un tipo di drammaturgia divisa tra percezione dei suoni e concetti da esprimere. Con Coluccino si rimane ancora più nel regno del suono puro e del suo potere visivo, il suo linguaggio è deliberatamente emotivo, e, con una dotazione umanistica robusta, non persegue una propulsione positivista, né tanto meno vuole argomentare su concettualità fornite a mò di eventi (alla Cage, per intederci); e malgrado ciò connota la partitura con precisione scentifica nella formulazione di altezze, intervalli, micro-divisioni ritmiche, designazione di colorazioni timbriche.
E il banco di prova più sostanzioso per affermare questa sua profondità, resta la musica da camera, spesso organizzata in una struttura che ricalca unioni per ciclo, con composizioni che hanno un filo logico interscambiabile nei movimenti; in questa specifica monografia per Kairos, Coluccino presenta il ciclo cronologico di Emblema, 6 composizioni perfettamente eseguite dall’ExNovo Ensemble. In verità Coluccino ne ha composte 7, ma in questa raccolta il compositore ha preferito escludere l’Emblema 2 (per 12 strumenti), per via della accresciuta sostanza strumentale, una circostanza che spaventava per le possibili “forzature” del carattere intimo ed unitario espresso dall’autore. Coluccino si serve di tecniche non convenzionali che lavorano sulla sfumatura del suono, tramite pizzicati, pressioni sulle corde, artifici sulle tastiere degli strumenti a fiato, per estrarre da essi il suono della cavità acustica, e soprattutto svolge un lavoro di regolazione temporale magnifico sulle pause. E’ così che si arriva a conoscere le sue diapositive di suoni, involucro per captare l’umanesimo di personaggi o oggetti indirizzati, dove le esecuzioni diventano essenziali.
In Emblema 1, la costruzione oscilla tra lo scavo silenzioso del fondo dei fiati e dei metalli delle corde, intervallati da silenzi che sembrano rivestire le proporzioni dei ripiegamenti di Fibonacci; particolari spettri di suono, residui direi, che si confondono con il silenzio e insinuano una dimensione psicologica.
Emblema 3 ha già una trama più articolata, studiata per flauto e violino, dove i suoni si incrociano come una filigrana in movimento, e al suo interno, intercettano un dialogo che è mistero e riflessione serena al tempo stesso.
Emblema 4, per violino, viola e violoncello, aumenta lo stato prospettico indotto dalla musica, la possibilità di immaginare di girarci sopraelevati in un ambiente per osservare ciò che succede, dove ogni sequenza di note ha un suo profilo.
In Emblema 5, la presenza del pianoforte accresce lo spazio introspettivo, cerca appoggi poeticamente, mentre il resto rimane sospeso in una magnifica segmentazione.
In Emblema 6, le tonalità di basso (flauto e clarinetto) si intersecano magicamente con un violoncello in un clima sospensivo speciale, che riproduce perfettamente lo stile e la sostanza di una forma ad immagini cadenzate, grazie ad un gran intreccio di multifonici, suoni ariosi e concreti, punteggiati nella partitura.
Emblema 7 matura la sensazione di sorvolare le navate di una grande chiesa europea e lavora su suoni ricercati che siano in grado di creare una fluttuazione leggiadra, di interrogare gli affreschi e sentire le loro pretese.
Il simbolismo torna come modalità di esplorazione dell’incompreso. Tutto finisce come era iniziato. Ma nel mezzo c’è una esperienza unica.