Biologie del vuoto, teorie della libertà, mondi sospesi e paradigmi volanti

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Riflessioni ed osservazioni su:
à vide (storia naturale del vuoto), Francesco Massaro & Bestiario con E. Marullo, video aut.
Eppure la poiana vola ancora, Guido Mazzon & Marta Sacchi con L.M. Corsanico, video aut.
Digital Memories from A Suspended World, Silvia Cignoli, Blue Spiral R.
Studio Disarmonico di un Attimo, Rosario di Rosa, Slowth R. (anteprima)

Spesso dimentichiamo che siamo in definitiva “esseri biologici”. Questo significa che la nostra vita si misura anche in comportamenti evolutivi rispetto ai nostri simili ma anche e soprattutto rispetto a tutto l’ambiente che ci circonda. Oggi l’attenzione verso tali principi sembra potersi capitalizzare con un interesse verso le realtà biologiche mai realizzato prima, con l’instaurazione di un legame chiarissimo tra l’evoluzione organica e l’arte: gli uomini sensibili cominciano a “avvertire” lo stato biologico di un albero abbracciandolo, per esempio, e a ricavarne forme d’arte corrispondenti.
Francesco Massaro e il suo gruppo Bestiario (Mariasole De Pascali, Michele Ciccimarra e Adolfo La Volpe) hanno sempre il gran pregio di sapersi subito interrogare sugli spunti forniti dalle forme vitali: Massaro ha partorito da molto tempo un’idea chiarissima di come far musica eccellente sfruttando quei micro/macro mondi naturali o animali che possono essere interpretati con la fantasia di una mente creativa; in termini sonori si tratta di un’accurata ricerca che non tende alla similitudine (come molti musicisti propongono), quanto alla corresponsione di un ambiente appropriato indotto dalla musica, un’entità che si muove allo stesso modo di un organismo ma con una propria filosofia di scorrimento. Soffi ingenui, esondazioni sui canali d’aria, allungamenti sonori che riscoprono le qualità variabili del tono e della risonanza, musica concreta degli strumenti, un live electronics di forma misteriosa, sono i principali canali d’esposizione che ritroverete anche in À Vide (storia naturale del vuoto), l’ultimo progetto che il Bestiario ha implementato con il pittore Egidio Marullo, con tanto di video a supporto che riflette le sua azioni (vedi qui); con una bella tecnica che non usa pennelli ma sostanze poste in miscelazione tra loro su una base di proiezione, Marullo non fa altro che acclarare con mezzi visivi il mondo del Bestiario, quella “…microbiologia immaginaria e poetica, che permetta di contemplare forme di vita invisibili che ci parlino di noi e del nostro presente…” (note interne); un software selettivo regola la continuità dell’esposizione di Marullo e pochi si accorgerebbero anche che i suoni di Massaro e soci costituiscono input sonori e impulsi che influiscono sulle azioni di Marullo.
La sinergia è dunque maledettamente riuscita, qui la rappresentazione del “vuoto” (un vuoto fisico e interiore) segue binari invisibilmente legati al pensiero di Jarry, ai genomi evolutivi, alla lenta modificazione della musica e dei particolari delle aree di visione che realizzano la variazione spontanea dei musicisti. Di questo tipo di improvvisazione libera surrealmente combinata con altre arti ne abbiamo bisogno come il pane e in Italia sono pochissimi quelli che sono riusciti a costruire validi prodotti di interposizione artistica, al contrario dei paesi del Nord Europa, dove questa nuova sensibilità è senza dubbio più sviluppata. À Vide (storia naturale del vuoto) merita di stare tra le prime pagine di un nuovo giornale della musica del ventunesimo secolo.

Una fantasia poetica dichiarata, esplicita, segue invece Eppure la poiana vola ancora, un’improvvisazione del trombettista Guido Mazzon e della clarinettista Marta Sacchi (il Neu Musik Duett): stavolta le linee sinuose dei due musicisti impattano su una poesia recitata da Luigi Maria Corsanico, che Mazzon ha scritto fotografando eventi di un paesaggio naturalistico; si tratta di descrivere gli atti di una poiana (un rapace dei boschi) che osserva e si sposta tra gli alberi gettando fondo alla platea di animali e vegetali in movimentazione. Nella narrazione creata da Mazzon ed egregiamente portata in reading da Corsanico, si sente un riferimento alle “corrispondenze” di Baudelaire, quando affermava che la Natura è un tempio dove l’uomo passa tra foreste di simboli che l’osservano con occhi familiari, con la differenza che Mazzon rende le cose un pò racconto un pò fiaba e le trasla ai tempi attuali: il simbolismo si gioca sulle azioni di volpi, pernici, cornacchie, gazze, caprioli, etc. o sulla significatività degli eventi casuali su gelsi e argilla.
I due musicisti si confrontano sulle “armonie” della Natura (un sound che viene già direttamente dall’espressione poetica) e si accordano per trovare un moto eccellente di vitalità anche attraverso i suoni: essi costruiscono un adattamento autentico, che tiene dentro a volte poche note, segmenti, iperboli o borbottii, a volte una pacifica vena nostalgica, altre volte finanche esplosioni di vitalità, realizzate senza seguire convenzioni. Operazioni come queste ci fanno ancora scoprire la tenerezza che la vita può offrirci, ma alzano il tiro su una qualità indispensabile della vita umana, che ad un certo punto si incastra definitivamente in un teorema sulla libertà:
…la libertà, la vera libertà è inconciliabile con la necessità / la libertà è un abisso/ la libertà non può ammettere che si sia liberi di non esser liberi /non è libertà potersi privare della libertà / la libertà vera suscita un senso di disagio e timore / è una vertigine…” (Mazzon, parole tratte dal testo).

Una riflessione post-covid giunge anche dalla chitarrista Silvia Cignoli, che ha composto la soundtrack per Tutte a casa – memorie digitali da un mondo sospeso, un documentario sulla vita delle donne durante il lockdown. Della Cignoli conoscete l’ampio raggio d’azione, qualcosa che ho descritto in precedenti articoli su di lei e per l’occasione di Digital Memories from a Suspended World, suo secondo solista, emerge una sensibilità ambient: chitarra elettrica o synth impostati sul drone, pieno di sfumatura armonica o di tremolo, un’epifania nostalgica che ben si adatta agli argomenti; il clima cambia un pò nella seconda parte con Sogno, dove le note si segmentano o in Ossessione, dove si va sul plumbeo e qualche scia alla Tangerine Dream. Interessanti sono le programmazioni ritmiche della tastiera in un tris di episodi: succede in My name is S, dove le fasi d’attesa nascondono un dub, in Sqzz, che sguazza nei beep dell’elettronica e nella finale Close to the distance che simula un irregolare beat-box fuori contesto rispetto all’area coperta dall’elettrica. Due episodi dell’album vengono dalla collaborazione con la bassista Valentina Guidugli, dove The Electrical Spirit Descended to the Magnetic Body dimostra la vicinanza ad un sentimento più rock.
Digital Memories from a Suspended World ha volutamente un taglio decisamente meno sperimentale del bellissimo esordio di Silvia (The Wharmerall), vuole colpire target di ascoltatori differenti, essendo probabilmente oggetto di una delle direzioni musicali dell’artista. Per visuale personale io l’aspetterò su altre latitudini, ma non posso fare a meno di evidenziare a voi che, a volume ben sostenuto, si resta estasiati dalla vibrazione dell’elettrica di Everything fluctuates. Bisognerà dargli molto credito su questo campo d’azione.

Uscirà il 26 novembre il nuovo lavoro di Rosario Di Rosa dal titolo Studio disarmonico di un attimo. Qui qualche riflessione in anteprima. Assecondando quella parte dell’attività di musicista votata all’elettronica, Di Rosa continua nell’esplorazione a suo modo di contenuti vicini alle tendenze recenti del genere. Questa dimensione è partita temporalmente qualche anno dopo quella jazz ed ha attraversato da autodidatta dell’elettronica vari stadi concettuali, mutuando talvolta anche la pratica dello pseudonimo che ricorre per gli artisti facenti elettronica non accademica (nel suo caso U/nu o H’UM).
Il primo lavoro immerso totalmente nel nuovo corso è Un cielo pieno di nuvole, dove Di Rosa si produce in una sorta di aritmica pulsazione di suoni sintetizzati e trattati con live electronics, brandelli ricostruiti dalle memorie afasiche di Subotnick; poi nel 2020 è arrivato Zehra, un lavoro con molti ospiti in forma e in sintonia, pensato ed articolato su tessiture elettroacustiche idiosincratiche ma piene di significativi rimandi alla cultura musicale contemporanea; pezzi di techno, glitch, field recordings, recitativo, weird music e persino retaggi di composizione contemporanea camuffati nelle chitarre o nei flauti.
Adesso, per Studio Disarmonico di un Attimo, Di Rosa preme il piede sull’acceleratore e lo fa con una forza imponente, qualcosa che si può verificare subito all’apertura con Zara Zabara, apocalittica e granitica visione con suoni ricercati, elettrificati o digitalizzati nelle misure e dinamiche giuste come nelle migliori provvidenze di un sound sculptor; dal suono carico ma non aggressivo, Di Rosa compie tutta una serie di manipolazioni su vecchi vinili, nastri, campi di registrazione, suoni di oggetti, rielaborando una propria drammaturgia del suono: in Drum Thing la percussione viene stratificata, subisce quasi un eco che collabora agli effetti creati, i quali annientano gradualmente una vocalità mediorientale preregistrata; un’altra stratificazione percussiva arriva da Love needs a frequency, qualcosa che si adopera sul tonfo e la risonanza in maniera tale da farla apparire un rito, mentre frequenze di suono volanti si avvicendano senza un apparente ordine.
Il taglio o lo sketch dello sviluppo, è opportunamente compensato nelle strutture create: in Plane – Sequence fa da tramite tra gli sciami elettronici e una strana nenia che compare ad un certo punto centrale del brano; da una parte la musica di Di Rosa pretende di rappresentare una nevrosi, ha il compito di svuotare una “carica” interiore (senti Anarchy of an idea o il fuoco elettroacustico di Paradigmi Volanti), da un’altra è premonitrice di un progetto di sconvolgimento politico della costruzione musicale (vedi sempre in Paradigmi Volanti come Di Rosa ci tiene a stendere un pre-registrato della voce di Marchel Duchamps che parla del ready-made, per poi effettuare manipolazioni che “masticano” letteralmente tutta la sostanza sonora fino a renderla quasi cenere). Davanti però all’urgenza espressiva o alla novità dei contesti funzionali della musica, Di Rosa lascia intendere che sarà la vera arte a guidarci su un vero sentiero di continuazione senza commiserazione e in tal senso l’omaggio finale a Rothko è un magnifico esercizio di interposizione, dapprima un silenzio puntellato che poi si rompe per dar spazio ad un “ronzio” composto da tanti accorgimenti sonori, in definitiva quella rappresentazione di consegne che nella musica elettronica molti musicisti hanno già percepito da tempo.
Con Studio disarmonico di un attimo, Di Rosa ha raggiunto un inaspettato e lodevole livello di competenze nella libera interpretazione dell’elettronica. Non mi sarei mai aspettato di trovare un musicista jazz così preparato e convincente in altro genere. Garantisco che la disarmonicità di Di Rosa può durare molto più di un attimo! Teste complesse, perfettamente in linea con quanto viviamo e con la cover-disegno di Giovanni Robustelli.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.