Le nuove drammaturgie di Arvo Part

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fonte Scott Air Force base. No change was made

In tutte le biografie di questo estone, uno dei rappresentanti più apprezzati della musica contemporanea, vengono di solito rimarcate per primo le caratteristiche tecniche, poi quelle emotive (a proposito delle quali vi sono larghe testimonianze dei poteri “soprannaturali” forniti: si va dalla trascendenza spirituale alla capacità purificatorie, dalla subliminalità dei silenzi all’estensione dell’infinito e del creato), quasi mai ricalcate quelle che hanno a che vedere con la straordinaria “influenza” che Arvo Part (1935) ha avuto nel suo àmbito musicale e soprattutto in quello di altri generi non affini come il rock e l’ambient attuale: è indubbio che artisti come Richter, Hauschka, Johansson nel “modern classical”, oppure i Balmorhea, Rachel, Dakota Suite nel post-rock, o Eluvium e Basinski nell’ambient ad esempio, pagano un forte tributo a questo compositore. Part (per molti) ha riavvicinato il pubblico del rock e della buona musica in generale, alla musica colta dopo oltre 50 anni di incomprensione dovuta allo svilupparsi delle teorie seriali e matematiche, dato l’insopportabile peso che l’ascoltatore avvertiva dallo stravolgimento della tonalità; l’interesse per Part è una specie di ritorno alla semplicità, come è successo per quasi tre secoli prima dell’avvento di Schoenberg. La semplicità presunta dall’artista si basò su un impianto musicale scheletrico concentrato su poche note e strumenti (in modo da richiamare un minimalismo strumentale) e soprattutto sulla capacità di compenetrazione che anche poche combinazioni di suoni potevano avere per suscitare sentimenti e sensazioni. Part a questo punto potrebbe considerarsi come il compositore della rinascita della musica classica, sebbene sarebbe criticabile tale posizione per via del fatto che anche lui ha abbracciato le strade del serialismo e dell’atonalità prima che la crisi mistica forgiasse il suo stile definitivo (il cosidetto “tintinnabuli”); non solo Part è un prodotto della modernità e come tutti i minimalisti è espressione delle avanguardie colte, è anche una espressione “semplice” e “denutrita” dell’avanguardia. Soprattutto, mi riesce difficile pensare che Part possa essere un compositore per le masse.
La grande capacità dell’artista sta in quello che suscita nell’ascoltatore: poche note lo fanno riconoscere, che saremmo in grado di suonarle anche noi con i nostri strumenti, e allora?? Gli studi effettuati sul canto gregoriano nel Medioevo e nel periodo Rinascimentale, la reinvenzione delle teorie di Bach ed in generale il potere ecumenico della musica “spirituale”, che è stata la culla della cultura classica europea, gli hanno fornito quella diversità di dimensione, quei dettagli artistici utili a non essere riproponibili dal musicista normale: oggi si può affermare che il suo cospicuo repertorio sarà la base su cui si dovranno confrontare le generazioni future di compositori specie nell’ambito del canto, della polifonia corale e nei rapporti tra queste e gli strumenti, settori in cui Part ha fornito già una serie di capolavori. La sua è una formazione comunque eterogenea: non c’è solo una rivisitazione intelligente e moderna del canto medievale, né ci si può fermare alle tecniche dodecafoniche degli esordi; Part aveva delle radici “emotive” fortissime nei compositori della sua madre geografica, ed in particolare aveva saputo integrare gli aspetti drammatici e dolorosi di Shostakovich (si potrebbe mettere in relazione molte composizioni di Part con il secondo movimento del piano concerto n. 2 dell’autore russo) e Prokofiev, con la sua personale prerogativa di trasporto subliminale dei suoni, trovando un pieno conforto nel carattere religioso della composizione.
La nuova sinfonia n. 4 segue un percorso diverso dalle altre, dovuto al fatto che era necessario trasporre in musica le tragiche vicissitudini di Khodorovsky, in carcere per motivi politici. A differenza delle prime due sinfonie (che rientrano nel periodo iniziale e che quindi hanno altra caratterizzazione) e della terza (una delle sue migliori composizioni nel suo stile famigerato (il tre è numero magico qui se pensiamo alla terza di Gorecki), in questa Part, trentasette anni dopo (la terza è stata composta nel 1971), usa un tono “misterioso” e “sospeso” di archi, una specie di “drone” che si infrange con maggior forza nel terzo ed ultimo movimento dove il compositore costruisce l’epilogo del suo racconto; una composizione che mi rammenta ancora gli aspetti drammaturgici di Shostakovich, ma che alla fine presenta una scarsa caratterizzazione, il che probabilmente non ne farà una delle composizioni da prima linea della sua carriera. Completa il cd un’altro brano che unisce frammenti di un suo capolavoro per choir a cappella, ossia Kanon Pokajanen, che l’autore considera molto vicino stilisticamente a questa ultima sinfonia.

Discografia consigliata:
Fratres, Kremer, Jarrett, etc./-Arbos, The Hilliard Ensemble, Kremer, etc./-De Profundis, The theatre of voices, etc,/-Passio, Hillier Ensemble/-Kanon Pokajanen, Estonian Philarmonic Chamber Choir/-Orient & Occident, Kalijuste/-Lamentate, Lyubimov/-Miserere, Hilliard Ensemble/-Te Deum, Kaljuste, Estonian Philarmonic C.C./-Alina, Spivakov
Tutti per la ECM Records
Symphony n. 3, Jarvi, Bis Record

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.