In questo post vi segnalo alcuni artisti operanti nella musica ambientale e non solo, con diversa prospettiva artistica.
Jan Bang è un produttore americano da sempre nel giro dei musicisti norvegesi, soprattutto quelli del nu-jazz (Wesseltoft, Petter-Molvaer, Henriksen, Aarset) , ma conosciuto anche per le sue vicinanze artistiche alla musica “wordl” di Hassell, all’ambient di David Sylvian, a quella scrittura compositiva fatta con i campionatori che è stata prerogativa di tanti artisti nella musica moderna. Questo suo primo album “….and poppies from Kandahar” (et. Samadishi Sound) racchiude tutta queste esperienze, ha un respiro calmo, controllato che prende un pezzettino di musica da tutti gli artisti citati, anzi Bang li chiama proprio a suonare: quello che ne esce fuori è quindi un ambient multiforme che beneficia dell’apporto discreto dei suoi partecipanti, una specie di musica in codice che stimola la mente, sebbene non abbia probabilmente la forza necessaria per erigere nuove barriere sui suoni, quello che servirebbe per farsi ricordare.
Il tema della morte è sempre difficile da affrontare e spesso siamo costretti a rifiutarlo categoricamente: tuttavia molti artisti ne sono stati catturati e hanno cercato anche forme artistiche appropriate per descrivere stati d’animo o situazioni vicine a quello stadio di vita finale: la fanzine musicale online Ondarock, propone in primo piano i Bvdub, progetto del musicista Brock Van Vey, che nel suo ultimo album “The art of dying alone” (etichetta Glacial Movements) si accosta al problema con la prospettiva di estaticità, con la musica che è totalmente dronistica rafforzata spesso da un dub tecnologico che sicuramente non guasta. L’artista si fa riconoscere per i suoi impasti con voci “angeliche” tipiche dei gruppi di dream-pop (il pop sognante è tema ricorrente per molti musicisti ambientali) riuscendo in alcuni episodi ad essere incisivo anche nei suoi risvolti emotivi. Probabilmente è una questione di gusti, ma questa prospettiva di fusione dell’ambient con segmentazioni sonore di dream alla 4AD o affini, non dà sempre grandi risultati: questo invece mi sembra un buon episodio.
Di tutt’altra caratterizzazione si presenta il musicista William Fowler Collins, alle sue prime prove discografiche, con un disco inciso per la Type Records etichetta sempre attenta a selezionare artisti per un certo tipo di archetipo musicale, di solito acustico.
In “Perdition hill radio” l’ambient si riveste non solo di droni non dinamici, ma anche di noise, suoni concreti in un contesto testuale comunque “claustrofobico”. E’ un progetto da ascoltare perché pur essendo realmente ostico nell’ascolto, dà piena motivazione agli argomenti che in modo subliminale vengono “introdotti” dai titoli dei brani (che spesso si risolvono in evoluzioni drammatiche di vicende del cosmo). Sarà questa la musica che ascolteremo in futuro?
Il tema della morte è sempre difficile da affrontare e spesso siamo costretti a rifiutarlo categoricamente: tuttavia molti artisti ne sono stati catturati e hanno cercato anche forme artistiche appropriate per descrivere stati d’animo o situazioni vicine a quello stadio di vita finale: la fanzine musicale online Ondarock, propone in primo piano i Bvdub, progetto del musicista Brock Van Vey, che nel suo ultimo album “The art of dying alone” (etichetta Glacial Movements) si accosta al problema con la prospettiva di estaticità, con la musica che è totalmente dronistica rafforzata spesso da un dub tecnologico che sicuramente non guasta. L’artista si fa riconoscere per i suoi impasti con voci “angeliche” tipiche dei gruppi di dream-pop (il pop sognante è tema ricorrente per molti musicisti ambientali) riuscendo in alcuni episodi ad essere incisivo anche nei suoi risvolti emotivi. Probabilmente è una questione di gusti, ma questa prospettiva di fusione dell’ambient con segmentazioni sonore di dream alla 4AD o affini, non dà sempre grandi risultati: questo invece mi sembra un buon episodio.
Di tutt’altra caratterizzazione si presenta il musicista William Fowler Collins, alle sue prime prove discografiche, con un disco inciso per la Type Records etichetta sempre attenta a selezionare artisti per un certo tipo di archetipo musicale, di solito acustico.
In “Perdition hill radio” l’ambient si riveste non solo di droni non dinamici, ma anche di noise, suoni concreti in un contesto testuale comunque “claustrofobico”. E’ un progetto da ascoltare perché pur essendo realmente ostico nell’ascolto, dà piena motivazione agli argomenti che in modo subliminale vengono “introdotti” dai titoli dei brani (che spesso si risolvono in evoluzioni drammatiche di vicende del cosmo). Sarà questa la musica che ascolteremo in futuro?