Non è un caso che la descrizione poetica del cuore fatta da Robert Creeley sia diventata l’oggetto della scoperta musicale di Jason Sharp; il canadese, cresciuto nei circuiti dell’improvvisazione del suo paese, ha preso in carico la figura di Creeley, quella di una barca che naviga sul sangue, fonte indispensabile di vita ma anche scenario nascosto alla vista. Nella musica, la poesia di Creeley non è un’intrusa, poichè è lecito pensare che anche le variabili pulsazioni del cuore possano sostenere un pensiero o un’emozione e addirittura addivenire persino ad estetiche diverse.
L’idea di Sharp è quella di considerare questo mondo di sensazioni non visibili come parte di un progetto di sovrapposizione, in cui poter fondere battiti, mezzi acustici e strumenti tecnologici, ottenere e dare risposte in real time allo scopo di portare in superficie la subliminalità di quei scenari che si svolgono dentro la nostra intima profondità. Il cuore ha i suoi binari, la sua rete sanguigna, un sistema che non è stato scevro di essere preso in considerazione anche dai musicisti. Gli approfondimenti elettro-acustici di Sharp sono proficue divergenze delle scoperte partite già qualche tempo fa grazie al batterista jazz Milford Graves: l’interesse di Graves sulle pulsazioni cardiache studiate tramite computer, ha costituito il primo legato delle testimonianze elettro-acustiche del nostro organo centrale. Nel tempo la macchina tecnologica e digitale è diventata un ausilio fondamentale nel prevedere software in grado di dare risposte ai problemi dei musicisti: Sharp ha dovuto affrontare alcuni limiti evidenti nell’amplificazione e nella microfonazione a contatto, ed evitare che riverberi eccessivi o risonanze create dal corpo o dai collegamenti con i sintetizzatori modulari, potessero azzerare la capacità di interazione del musicista. A tal fine, quindi, Sharp ha creato un sistema di monitoraggio visivo del battito cardiaco, che si attiva indossando una leggera attrezzatura in grado di estendere le pulsazioni del cuore ad un impianto di sintetizzatori che regolano più canali di trasmissione; inoltre, ha chiamato in causa un secondo attore nella performance, per modellare gli inevitabili ritorni di feedback della struttura elettronica, che impedivano un ascolto più ordinato. Ciò che si crea è un’orchestra in piena regola, espressione però di una (al massimo due) persone.
In una sempre più competitiva etichetta come la Constellation R., Sharp ha pubblicato due lavori che applicano questi principi: il primo nel 2016, A boat upon its blood, e il recentissimo Stand above the stream. Musicalmente la ricerca di Sharp si indirizza su sassofono baritono e quello basso, con forte prevalenza delle coagulazioni sonore rese possibili dal continuum delle tecniche di respirazione circolare, una circostanza in linea con quanto fatto ultimamente da Stetson, a cui manca la tecnologia modulare, evidentemente. Tale affermazione non è un fattore secondario, perché è proprio lo sviluppo della pratica dei sintetizzatori che caratterizza i suoni, facendo di Sharp uno specialista unico e superiore a gente come Keith Fullerton Whitman, Brett Naucke o il duo Nelson/Donne, almeno tra i rappresentanti non accademici: se è vero che il battito crea la fonte ritmica (prendete l’attacco iniziale di A boat upon its blood per rendervene subito conto), è anche vero che esso è solo il viatico per entrare in una prospettiva fantastica di suoni che colpiscono per il loro speciale carattere drammatico (svelare una presenza!), in un pozzo di coercizioni acustiche ed elettroniche. Droni che contengono un fascino perverso (tra la meditazione, un senso di misericordia e l’isterismo di una fase d’attesa), in cui il sassofono basso o baritono si coagula fino a diventare quasi un ricordo, dove il feedback in quantità e qualità viene convogliato in strati percussivi.
Se per A boat upon its blood, Sharp è riuscito a produrre qualcosa che blinda le definizioni di genere e può collocarsi in una zona di limbo delle pratiche moderne del post-rock (sensazione che si rafforza in pezzi come Still I sit, with you inside me, con l’inserimento di una steel guitar e un violino in stile modern classical), in Stand above the stream Sharp sonda invece una zona che sembra molto sfruttata, ossia quella dei bei ricordi dei settanta, condivisi tra prog, ambient music e cascami di new age sound di matrice cosmica. Con Adam Basanta al controllo del feedback, le operazioni di Stand above the stream si sono espanse, producendo una fase sensitiva in vista di un’accelerazione del battito: la Part 1 mi ricorda qualcosa che sta tra i Pink Floyd del periodo di Meddle e il minimalismo di Branca; il baritono diventa un peso massimo nella Part 2, dove il continuum è condiviso con una strategia melodica; un vento cosmico, un mesto violino e degli effetti ricavati di cornamusa introducono la Part 3, con un feeling vicino alle evocazioni di Last temptations of Christ di Gabriel; mentre un impasto timbrico modificato di baritono, feedback e rumore, apre la Part 4, che lentamente si trasforma in qualcosa che richiama alla memoria i tempi di Vangelis e l’elettronica francese di quegli anni.
Traendo molta semplicità dalle impressioni è come se Sharp si fosse liberato dai commenti romantici di A boat upon its blood per approdare, in Stand above the stream, ad una forma di predominio rappresentativo dell’avventura (un antipasto visivo può essere ricavato dal trailer di Part 4), in cui applicare le teorie dei flussi. Tutto parte dall’improvvisazione, da due reperti storici di sax (il baritono Selmer Mark VI e il basso Conn New Wonder II) ed una manciata di elettronica specifica che è in grado di bilanciare gli interventi.
Un’altra impressione, non meno importante, è quella che si sentirà parlare spesso di questo nuovo Sharp della musica.