Fred Van Hove

0
537
Schorle - Own work Der belgische Pianist Fred van Hove im NOWJazz-Konzert des SWR 2, Club W71 und Stadt Niederstetten mit der Gruppe QUAT im KULT, Niederstetten 2013. CC BY-SA 3.0. No change was made.

Considerato un discepolo di Cecil Taylor in terra del Belgio, Fred Van Hove è stato un pianista che ha offerto un’anima molto più specifica dell’americano. Convinto uomo di sinistra e pioniere dell’improvvisazione libera in Europa, Van Hove si distinse subito per essere il pianista delle formazioni di Peter Brotzmann ed aver fatto parte della rozza ma storica materia di Machine Gun, in un periodo intenso e di grazia per la free improvisation; Van Hove era un pianista formidabile, in grado di suscitare sensazioni complesse con il suo piano verticale apparentemente malconcio ma in linea con un forte senso dell’arte della saturazione (forse il primo vero saturazionista?), non tanto schiaffi e rimuginìo come Taylor, ma una visione stratificata straordinariamente condotta sullo strumento con continuità ed intensità ritmica.
Il suo primo solo omonimo del 1973 è ancora oggi una perla dell’intera discografia della libera improvvisazione europea, un primato che Van Hove ha più volte messo in discussione nelle successive prove pianistiche, in cui ha cercato sempre di affiancare al suo stile elementi nuovi, percorsi sonori frutto di rielaborazioni ribollenti e preparazioni, di vere e proprie sincopi improvvisative, di perlustrazioni senza sosta della tastiera: le splendide vie di fuga mostrate in Verloren Maandag, gli sviluppi di Prosper (rotolamenti sul pianoforte in grado di dar l’idea di un imminente scroscio temporalesco), l’intenzionale senso di soffocamento cercato in Die Letzte, le derive filosofiche di Flux, sono tutte manifestazioni di un’incredibile personalità, della maestria del suo “alfabeto” pianistico e dell’eccellenza del ruolo rivestito in sé per sé come pianista, qualcosa che alla fine offusca persino le tantissime ed importanti collaborazioni che si sono succedute nel suo percorso artistico (da una parte praticamente il gotha della free improvisation europea, da Evan Parker a Peter Kowald, da Steve Lacy a Joelle Leandre, dall’altra specifiche emulsioni con improvvisatori meno conosciuti come Annick Nozati, i Bauer, Etienne Brunet, Shih-Yang Lee). Poi, Fred ha avuto il coraggio di far entrare la free improvisation nelle chiese grazie anche alle sue capacità di organista: questa ulteriore qualità dell’artista belga può essere facilmente verificata nel solismo di Church Organ, Lp del 1981 che lo vede impostare venti esplorativi sull’organo di St. Peter Church a Sinzig sul Reno.
Nell’ultimo ventennio Van Hove ha continuato a mantenere un ottimo standard e ha probabilmente subito l’influenza dell’unione con Mie Van Cakenberghe, bravissima pittrice dal tema figurativo sfumato ma dotata di una forza intrinseca nei suoi dipinti che si ritrova con l’intensità delle ondate pianistiche di Van Hove.
Con Van Hove si dovrebbero ricercare priorità nella storia della libera improvvisazione, l’ascolto della sua discografia nasconde delle tracce sviluppabili, appigli di un’arte astratta e positiva che oggi viene messa ripetutamente in crisi dall’ottusità e la mancanza di conoscenze degli avventori musicali dei tempi odierni, che non sanno riservare il giusto trattamento ai grandi artisti del passato.
RIP Fred Van Hove

Articolo precedenteSubsistemi di personalità: Elena Rykova
Articolo successivoLa riforma del ritmo: Steve Coleman
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.