Con un apposito messaggio sulla pagina Facebook, il 30 gennaio Jon Jason Appleton ha postato la scomparsa di suo padre Jon Appleton (1939-2022), compositore che i musicisti di elettronica conosceranno bene per via del Synclavier, un sintetizzatore digitale di cui ha pionierizzato l’utilizzo anche con un’interfaccia hardware. Oltre al musicista, Appleton è stato autore di un’apprezzatissima attività didattica, corroborata anche da un libro molto conosciuto dagli amanti della computer music (The Development and Practice of Electronics Music, 1975) che si concentrava su macchine e problemi tecnici legati allo sviluppo della musica elettronica in quel momento.
Esteticamente Appleton ha attraversato un periodo di graduale assestamento passando da composizioni relazionate allo stile seriale negli anni sessanta a composizioni più digeribili, in gran parte sostenute però da abbinamenti creativi di grande raffinatezza, vere e proprie fantasie o melodrammi musicali di elettronica provvisti di story tellers, di inventiva alla tastiera, di riorganizzazione sintetica appropriata ad una giusta scansione estetica dei programmi. C’è una pagina bandcamp, liberamente accessibile, che riepiloga quella che io considero la miglior fase musicale del compositore, passata attraverso le registrazioni della Smithsonian Folkways Recordings, quattro albums musicali tra il ’74 e l’82 (riversati in digitale) in grado non solo di fissare nuovi timbri (tra i “ladri” eccellenti delle creazioni di Appleton si può menzionare Michael Jackson che usò le stesse note di synclavier nel successo di Beat it), ma anche di proporre una vena compositiva che copta un certo tipo di espressione narrativa dalla mentalità algoritmica e si apre con maggior forza alla texture.
RIP Jon Appleton