L’esercizio dell’ascolto musicale è un fenomeno di cui prendiamo le misure, creando solitamente collegamenti tra quanto emerge dai suoni e quanto la nostra decodificazione aurale tende ad associare a sentimenti, caratteri o circostanze. In definitiva è molto attivo il motto del tipo “..fammi sentire cosa suoni e ti dirò chi sei…“; tuttavia la musica si pone nell’ottica dei “risultati” finali di un ragionamento fatto a monte e nulla vieta che possa essere la risposta ad un enigma, ad un rebus o persino ad una esorcizzazione di pensieri formati con un impianto genetico-emotivo differente da quello che ascoltiamo nel prodotto finale. Probabilmente non mi sbaglierei se dovessi applicare il principio al compositore napoletano Claudio Panariello (1989): laureato in fisica, studioso di musica elettronica con eccellenti insegnanti alle spalle (Di Scipio, Martusciello, Lupone), Panariello ha intrapreso un percorso da compositore sempre più importante ma che probabilmente potrebbe passare inosservato nel piccolo panorama della musica contemporanea. La musica composta, invece, ha i suoi gradi di attrazione e il primo, fondamentale elemento, è proprio il contrasto tra la titolazione dei pezzi e il loro umore: non penso di sbagliarmi affermando che Panariello pone interesse alla cultura del “disturbo”, dove con questo termine non si caratterizza però la musica composta. Il disturbo sta nelle situazioni pensate, molte di queste tratte da sensazioni del mondo letterario: le Flebili stelle nere del Teatro Grottesco di Thomas Ligotti, la Casa di Asterione tratta dall’Aleph di Jorge Luis Borges, la Macchina Anatomica prototipo di circolazione sanguigna in forza alla cappella Sansevero, l’Autopsia su una marionetta del Ligotti nella Cospirazione contro la razza umana, e così via. Da queste situazioni Panariello trae una forza inaspettata, perché ne deriva i connotati: se è vero che la composizione in molti casi elicita la simulazione (specie se partiamo impostati in anticipo conoscendo il soggetto del comporre), è anche vero che la musica non dà assolutamente l’impressione di replicare un’azione orrifica o grottesca. Incredibilmente essa è ottimista, positiva, filosofica, in linea con quanto proposto dallo scrittore norvegese Peter Wessel Zapffe, le cui proposte danno il via a quelle di Ligotti; la vita è un paradosso mortale verso il quale possiamo contrapporre alcuni meccanismi di difesa (isolamento, ancoraggio, distrazione e sublimazione) per poter reggere. La bellissima musica di Panariello, allora, trae giovamento da questo pessimismo per produrre un inaspettato senso del benessere, un training autogeno a cui tecnicamente non manca nulla, in stile ed originalità: suoni centellinati, combinazioni strumentali ricercate e non convenzionali fornite di una stranezza che conforta, una somatizzazione che affascina dopo essere stata compresa.
Il mio consiglio è quello di intercettare subito Panariello sulla sua pagina soundcloud, nonché in alcuni video caricati su youtube, dove le esecuzioni del Divertimento Ensemble fanno un figurone.