
Riprodurre esattamente la sensazione della “notte” è manovra molto difficile nella musica. A differenza delle altre arti come la letteratura, la poesia o il cinema, in cui il riferimento è ben preciso e specificato dall’immagine proiettata dal testo o dallo schermo, nella musica si difetta di un trasporto neurale equivalente. La notte, al pari di molte altre sensazioni umane, spesso ha bisogno di uno stimolo per affermarsi nella nostra immaginazione musicale, stimolo che può partire solo dalla titolazione. Trattandosi di una parte rilevante del cosmo, e dello scenario che insiste al di sopra delle nostre teste in maniera pressoché totale, è ad una correlazione emotiva indiretta che si può far affidamento; nella classica ambient music i tentativi di riprodurre aspetti specifici del notturno non sono mancati: si pensi a Robert Rich con il suo Nocturne inserito nelle Premonitions (caratterizzato da un drone in just intonation che lavora sullo sfondo psicologico) o al Vidna Obmana di The Contemporary Nocturne (che restituisce una forma elaborata e misteriosa di visioni notturne) o ancora alla concettualità devastante dei Nocturnes di William Basinski.
Max Corbacho fornisce il primo episodio di una sua trilogia sul “notturno”: ispirato da sessioni fotografiche effettuate durante le ore notturne, Corbacho traccia la rotta delle migliori esperienze musicali del genere, cercando di trasferire nella musica addirittura l’emotività delle sue foto, così da renderle disponibili all’ascoltatore in formato musicale. “Nocturnes” lavora dunque sulla qualità dei suoni, panorami sonori composti da squisite linee di sintetizzatori e porta con sé l’idea di una notte a caccia di bellezze cosmologiche dove, nella nostra immaginazione neurale (indotta dalla musica) si possono verificare continuamente sorprese, densità più o meno luminose che aprono porte, cercano la scoperta ulteriore e la profondità. Composto da tre movimenti, nei notturni di Max ci sono tutti gli elementi per una constatazione pedagogica del cielo notturno e di ciò che può proiettare oltre il suo spazio non conosciuto, un Umanesimo che è volontà di seguire codici.
Il primo movimento, il più lungo, fa venir voglia di andare a verificare le meraviglie dei cieli dell’Aragona (gli splendidi 52 minuti di Dark sky opening che costituiscono l’85% del lavoro complessivo), ma poi lambisce mondi sempre più divisi tra meraviglia e torbidezza (Stellar Time, secondo movimento) fino all’oscuramento delle verità (Ghost of the moon, terzo movimento).
