Potenza, tenerezza e sperimentazione: news on Setola

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In questa nuova tornata di novità discografiche della Setola di Maiale si conferma il principio dell’unicità e diversità della proposta musicale; è noto come molti musicisti tendano oggi a disapplicare la specializzazione della loro musica, per rientrare in un concetto più ampio, multi-disciplinare, che anche quando non può o non vuole riferirsi ad altre arti (letteratura, pittura, arti visuali, etc.), stabilisce sulla musica delle differenti coordinate: in casa Setola tutti i musicisti hanno una sorta di deroga a ciò che viene richiesto dal mercato, e questa opportunità è il grande tesoro che Giust e la sua etichetta mette a disposizione di tutti: in questa occasione molti di loro dimenticano il jazz più ortodosso, delle regole o dei ricatti delle tendenze, per spingersi oltre, in quell’orizzonte poco riconosciuto dell’improvvisazione dove c’è sempre un adeguato spessore progettuale, una musica libera da preconcetti e a caccia di diversità, che proietta la parte più sperimentale dell’esecutore.
Quando si parla di ipocentro, il riferimento è alla fase non udibile dei movimenti terrestri che individuano un disallineamento nelle specifiche profondità della terra; si tratta di un’attività che segna un passaggio di stato e, se ci pensate bene, in termini di suoni emessi può essere uno spaventoso equivalente tra silenzio e sonorità ufficiali. E’ sulla percezione dell’origine che il flautista Massimo De Mattia ha imbastito il quartetto di Hypocenter, un viaggio a quattro con il comando del suo flauto, che si interroga musicalmente sulle reazioni di questa attività generatrice, che può essere analizzata in modalità sub-cellulare o come specchio del centro delle nostre intimità, la partenza delle nostre emozioni e delle nostre catene relazionali, qualcosa di esattamente opposta al sondaggio delle superfici che interessava l’iper analizzato in passato (Hypermodern); il carattere del suono è dunque nettamente in contrasto con la normale esigenza di rendere fluidificanti e squillanti le invenzioni al flauto, per dirigersi invece verso una sorta di stile improvvisativo vivo ma al tempo stesso compresso, introverso e smozzicato. La condivisione avviene assieme a tre musicisti che rispondono a questo messaggio secondo le loro appartenenze musicali: la title track è emblematica poiché pone di fronte al dialogo musicisti pesantemente condizionati dalle fusioni jazz come Alberto Milani alla chitarra elettrica/basso o molto pronti per assecondare le atonalità come Luigi Vitale al vibrafono/balafon, mentre un ruolo da implacabile della batteria viene richiesto ad Alessandro Mansutti alla batteria, che ha il compito di scavare i tempi del percorso. Non è un caso che il quartetto espliciti questa referenza in Suonomadre o Blues derivation, dove sotto mentite spoglie ci sembra di risentire ritmiche di basso e batteria che ci riportano al periodo degli attacchi dei Deep Purple o delle saturazioni alla Jethro Tull, sebbene l’improvvisazione sia in grado di cancellare la retorica e proporne un nuovo uso; oppure Nonspecific, che cerca di sviluppare soluzioni sonore partendo da Pastorius e i vibrafonisti post-Burton. In piena strategia atonale, l’utilizzo del balafon, negli episodi finali di Atomisation e Boxing Webern, consente di prefigurare già un’ipotesi di sviluppo futuro molto interessante. Ma è il carattere dei suoni che conta e Hypocenter questa circostanza l’ha già bene in mente.
E’ possibile creare musica che sia realmente in grado di trasportare la psiche nelle sensazioni di 1984, il bestseller di Orwell? E’ una domanda a cui dobbiamo rispondere dopo aver ascoltato la deflagrazione profusa dai Machine 3 (il trio Gianni Lenoci, Pierpaolo Martino e Francesco Cusa) in Dystopia. Huxley affermava che la società descritta in 1984 fosse preda del controllo politico di massa, mentre la sua società non porta violenza, ma la lascia in balia delle onde attraverso un controllo indiretto. Ciò che è importante, in entrambi in casi, è la creazione di un clima distopico isolazionista. Su queste basi l’operazione dei Machine 3 è perfettamente rodata: musica inquieta, senza mai un minuto di pausa, lavorata sulle capacità innate dei singoli musicisti; un prodotto dei tempi, l’ennesimo avvertimento sulle carenze del mondo, in cui musicalmente l’improvvisazione gioca un ruolo chiave per la corretta assegnazione delle parti: da un lato Martino, basso potente, penetrante e spesso risoluto in chiave costruttiva, con tanto buon utilizzo di elettronica live a supporto; dall’altro Cusa, batteria accesa, in costante ascesa jam, tra i pochi in Italia in grado di tenere tensione sullo strumento all’infinito, e per finire Lenoci che, distante dai suoi modelli, qui si piroetta in vari addensamenti pianistici, provvisti di velocità o clusterizzati, capace di fossilizzarsi su note o accordi specifici ricavati in porzioni estreme del piano o nel raccordo dei suoi interni. Un circuito inossidabile.
Come per effetto di una memoria cicatrizzata ed in una veste rinnovata nei contenuti, escono fuori in commutazione le politiche del suono di un certo Zorn del passato, le turbe di Henry Mancini del Peter Gunn, Cowell e tutti gli iper-modernisti del suono, il cinema e la suspence dei films post-moderni di Lynch, il fumo sonico di Elvin Jones, nonché il coinvolgimento di frange della letteratura musicale di fusione. Julia stampa splendide immagini di decadenza, foschie e nebbie di tutt’altra natura, Newspeak è un rullo compressore, 2+2 = (manca il 5 del racconto di Orwell) è un bagno di sonicità inquisitiva. Qui più che parlare di poteri manipolatori, dovremmo parlare dei poteri della libera improvvisazione.
Nella recensione di Departure, primo cd del duo Yoko Miura-Gianni Mimmo (rispettivamente piano e sax soprano), scrivevo “...c’è una delicatezza che si contrappone ad un respiro deciso, ma nel complesso il messaggio di Departure è forse di allerta, tende alla ricostituzione di un sentimento vero, quando si crede ancora in una sua risalita…“.
Rinnovare la collaborazione tra Miura e Mimmo necessitava trovare un seguito a quell’esperienza; forse si può ipotizzare che la ricostituzione sia avvenuta, dal momento che Current air non disdegna le ulteriori funzioni significative che si possono attribuire al titolo; è una sorta di radura benefica, in cui si respirano altre sensazioni, capaci di posizionarci in un limbo musicale gradevolissimo, che permette di lievitare emozioni in altro modo. La parte compositiva è della Miura, ma non è casuale la scelta di potenziare il dialogo improvvisativo con l’aggiunta del clarinettista Ove Volquartz (al clarinetto basso); siamo in territori decisamente più sollevati, non più preoccupati ma descrittivi, quasi contemplazioni che vengono caricate grazie alle strutture pianistiche semplici ed efficaci di Miura, dei motivi ripetuti che costruiscono la sponda sulla quale Mimmo e Volquartz hanno modo di liberare un carico di attenzione, relazioni e giovialità; voci distinte, dall’afflato classico in cerca di una comunione di intenti e musica che “racconta” a lungo nella psiche, con un commiato affascinante riscontrabile nei 18 minuti di The way the wind blows, una delizia offertaci in un jazz tenerissimo, che potrebbe comporre (in un atto congiunto delle due prove discografiche) la side day dopo quella night profusa da Departure.
Un tentativo di giustificare nuove vie dell’improvvisazione attraverso l’applicazione orientale, viene da una registrazione di una sessione improvvisativa al Tosca studio di Rimini nel febbraio del 2000, ricomposta da Setola su cd solo ora: Bellezza fiammeggiante è il risultato a cui si giunge seguendo le indicazioni degli esagrammi, il sistema di linee continue od interrotte previsto dal Libro dei Mutamenti, classico di saggezza del confucianesimo. I musicisti della perfomance erano Eugenio Sanna (ch. el, voce ed oggetti), Massimo Simonini (nastri, oggetti ed elettronica minuta), Edoardo Ricci (sax alto, cornetta), Edoardo Marraffa (sax tenore) e Mirko Sabatini (batteria preparata). Sebbene mi chieda quale sia la motivazione che non ha permesso a questo lavoro di essere pubblicato prima, Bellezza fiammeggiante è un signor lavoro, che già spiazza dalla prima traccia (Sogno): un intrigante caos sonoro di circa 7 minuti dove chitarre e sassofoni diventano sorgenti instabili di suoni, il drumming non ha centro di gravità, l’elettronica impazza e una voce su nastro proclama sistemi per scaricare l’aggressività. Le ombre della saggezza del testo cinese si allungano sugli esercizi strozzati di La soddisfazione viene da un’apparenza giustificata e nelle situazioni composite di China Friends, dove si mettono di fianco echi percussivi orientali e frammentate esposizioni strumentali. Sanna elabora il XXX esagramma dell’I Ching, in cui elementi per l’analisi sono il fuoco, lo splendore e la bellezza, che conducono al concetto di dipendenza “…il sole e la luna dipendono dai cieli, la vita delle infinite specie di piante dipende dalla terra…“. Tale criterio relazionale viene impiegato nella struttura improvvisativa, giungendo ad una libera forma totalmente destrutturata, in cui francamente si fa fatica ad avvertire quanto meno il processo di interdipendenza, ma ci si può fidare della resa sonora, più che valida, come detto. Ci sono echi del circolo degli eretici fiorentini nell’ilarità delle ricostruzioni di Ecologica e profumata, mentre la Duke Dance per Ellington, è magnificamente disturbata dall’azione segmentata, quasi con pathos, dei musicisti, che si insinuano tra le linee melodiche di Ellington, combattuti dal disordine e dalla volontà di esplodere i concetti.
Il secondo capitolo del Sho Shin Duo, tra Riccardo Marogna (clarinetti, sax tenore ed elettronica) e Riccardo La Foresta (percussioni ed elettronica), prende come spunto creativo il mondo dei funghi: con 9 improvvisazioni titolate a specie diversi di essi, Mycophilia rappresenta 9 modalità diverse di sperimentare soluzioni alternative dell’improvvisazione libera sugli strumenti suonati. Tecniche differenti spesso accompagnate da elettronica, da synth o in feedback, che restituiscono 9 episodi caustici di musica. Mille idee del momento che si traducono attraverso le tecniche estensive, la sperimentazione percussiva e l’aggancio tecnologico: oltre a ciò che è stato conosciuto in Free the cat, si può apprezzare un coraggioso ed ulteriore salto in avanti, dove una risonanza, un sibilo o un determinato effetto sonoro ricevono un’attenzione multipla. Due professionisti che possiedono la “mente del principiante”, concetto buddista che informa il duo e che si riferisce all’entusiasmo e all’apertura che caratterizza lo spirito del vero musicista.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.