Ivo Perelman tra ‘interazioni’, ‘intonazioni spirituali’ e ‘water music’

0
489

Qui di seguito qualche riflessione su una nuova quaterna di lavori di Ivo Perelman. Nella maggior parte di essi si nota con più forza quell'”intonazione spirituale” della musica che è propria del sassofonista brasiliano, il quale ha ricevuto un’educazione religiosa ebraico-brasiliana, ossia da una parte ha studiato la Bibbia e le rivelazioni ebraiche, dall’altra è stato partecipe del Candomblé afro-brasiliano, il culto dell’energia universale dove ogni partecipante del rito diventa un frammento della divinità da cui ha ereditato la fisionomia e la psiche.

La prima evidenza dell’intonazione spirituale appena citata la si può percepire già in Interaction, un trio importantissimo con Barry Guy e Ramón López, che riporta sessioni improvvisative fatte a Parigi nel 2017. Si tratta di un doppio digital album con 20 tracce quasi tutte molto lunghe (mediamente 7 minuti circa), in cui si fa vivo il senso della storia del jazz e della libera improvvisazione attraverso un pieno virtuosismo e una continua accettazione del compromesso musicale; con un Perelman in stato di grazia, Interaction è l’emblema di ciò che significa espressività nella musica, uno stato vibrazionale che riesce a trasmettersi tra esecutore della musica e ricevente di essa e che immediatamente ci riconcilia con le affermazioni di Perelman nel libro spirits rejoice! di Jason C. Bivins, allorché tentava di spiegare che “you can’t play this music without at least having an access to the spiritual world”. Interaction è una delle migliori applicazioni di questa frase che Perelman abbia mai compiuto nel suo lungo percorso artistico; richiami o accenni a linee melodiche di pezzi jazz del passato sono solo il primo passo per l’immersione in una deframmentazione sonora da non vedere in una pura logica della divisione costrittiva ma piuttosto come atto di recitazione, istituzione di un legame espressivo che utilizza i codici psicologici ed emotivi dell’umanità: grazie ad un irriducibile lavoro sul tenore, esplorato nelle imboccature e nei suoi registri alterati, Perelman ogni volta che suona porta in vita un generoso ‘spettacolo’ per la collettività in cui detonano una voce, un dialogo, un messaggio; la creatività del now, richiesta per esibizioni di questo tipo, è l’unica variabile che importa a Perelman e alla sua sezione ritmica, che si rivela essere una delle sue migliori di sempre: Barry Guy è un propulsore formidabile, si muove principalmente sul pizzicato veloce e la capacità di essere costantemente in sintonia con le evoluzioni dei partners, ma nella parte centrale del lavoro lo ascoltiamo anche con ammirazione con l’arco, mentre Ramón López è una fucina di constatazioni poliritmiche, un tessuto speciale dell’improvvisazione che con invidiabile lunghezza e precisione si svolge sul posto. López ha anche prodotto lo splendido cover artwork del lavoro, linee, figure pseudo geometriche o astratte con colorazioni di grigio e celeste che danno l’idea di un pulsare illuminato (il pulsare della creatività dei musicisti).
In Interaction ci sono momenti altissimi dell’improvvisazione e le due ore di musica che lo compongono non stancano nemmeno per una frazione di secondo. In quelle sessioni i tre musicisti sono riusciti a mettere in pratica quell’eccentrico nomadismo che Deleuze e Guattari intravedevano per i contesti performativi, un’espressione che Gilles riteneva potesse essere possibile on the spot:
The nomad is not necessarily one who moves: some voyages take place in situ, are trips in intensity […] the journey is a motionless one; […] it occurs on the spot, imperceptible, unexpected, and subterranen”. (Deleuze, Nomad Thought, in The New Nietzsche: Contemporary Styles of Interpretation, Cambridge Mit Press 1985).

Molto più esplicite sono le relazioni con la spiritualità di Embracing the Unknown per Mahakala R. e Truth Seeker per Fundacja Sluchaj. Il primo accoglie registrazioni del 2021 che Perelman ha effettuato con Chad Fowler, proprietario della Mahakala Records che suona lo stritch e il saxello (due varianti del sax soprano) e con una sezione ritmica che si infila nella storia del jazz, quella di Reggie Workman a contrabbasso e piccola percussione e Andrew Cyrille alla batteria. Embracing the Unknown tenta di addivenire ad un’auspicabile esortazione del mondo spirituale, sono le titolazioni dei pezzi stessi che ce lo fanno comprendere (ricerca dell’anima, auto riflessione, introspezione, auto analisi, auto realizzazione, auto contemplazione); dal punto di vista musicale funzionano molto bene gli interventi di Fowler come contrappunto a Perelman (un contrappunto dalle differenti caratteristiche stilistiche, meno esplosivo e più rauco, ma indubbiamente sempre molto sensitivo) e le capacità di Cyrille e Workman di dar appoggio alle fasi dinamiche dell’improvvisazione.
Qualcuno si chiederà a quale mondo della filosofia possano appartenere questi musicisti. Non è una domanda dalla risposta tanto scontata e vi spiego il perché. Riprendendo il discorso sul nomadismo, sempre nel libro di Jason C. Bivins Perelman confessò all’autore l’importanza del momento performativo: “…you have to be there without being there […], in a state that is equally rational and abandoned, a subject of stronger forces but at the same time mirroring those forces that are godly, we are small little gods each of us…” (spirits rejoice!, pag. 209); seguendo quest’impostazione non ci vorrebbe molto nel sistemare la musica di Perelman e soci negli aggregati di Boezio e discendenti, nelle parvenze classiche dell’arte e in definitiva nelle viscere di quella scienza sensibile che la musica ha vissuto prima della rivoluzione di Keplero; tuttavia la musica di Perelman si inserisce in un periodo storico ben preciso, quello dell’astrattismo pittorico e musicale del secondo novecento, che chiunque può apprezzare come sub-insieme di un’estetica composita della musica e della razionalità dell’arte. E’ una contraddizione? No, tutto si spiega effettuando una riconciliazione tra mente e anima e ricordando che l’espressionismo astratto aveva delle radici fortissime nella cultura ebraica (le stesse che io penso siano di Perelman) e che gli “americani” che facevano parte della celebre corrente pittorica erano ispirati dal filosofo John Dewey e dal suo saggio L’arte come esperienza: l’azione e la libertà espressiva degli astrattisti filtrava connessioni con il giudaismo e la cabala ebraica. Perelman, perciò, è un rappresentante di una nuova spiritualità dell’arte musicale.

Per Truth Seeker valgono molte delle considerazioni fatte per Embracing the unknown. Registrato nel 2022 in trio con Mark Helias e Tom Rainey, Truth Seeker è free jazz confacente alle caratteristiche dei musicisti, dove Helias ha un temperamento più sofisticato e Rainey un’impostazione più cadenzata e vicino al jazz, con poliritmi che si ripetono in un’ottica di transizione tra forma impure di jazz e libertà marcatamente free jazz; i pezzi che compongono il CD sono il veicolo per andare verso sintassi che sfruttano le capacità di attraversamento delle sincopi e durate musicali. Nel ricordare che Helias e Rainey sono due colossi dell’improvvisazione indipendenti da fascinazioni ascetiche (andatevi a riascoltare almeno il periodo 1984-1996 di Helias e le collaborazioni con Berne, Laubrock, Torn di Rainey come minimo), va detto che la veste musicale di Truth Seeker mette in evidenza al contrario una sorta di percorso di crescita spirituale, qualcosa che si evince anche qui dai titoli dei pezzi; la spontanea combustione del trio vive nella concitazione di un presente e nella ricerca di una tensione espressiva che si giova nel suo complesso delle invenzioni al sax di Perelman (con molte invasioni di campo tra idiomi jazzistici e non) e della costanza interattiva/propulsiva della sezione ritmica. Riprendendo ancora Deleuze e i suoi concetti, direi che Truth Seeker conferma che è proprio la tensione innestata nella musica che rende possibile certe configurazioni, trasformazioni o sviluppi che mirano all’integrità ed è la tensione stessa che porta in dote il risultato di produrre il trascendentale.

Perelman, Helias e Rainey si sono ritrovati anche per Water Music, con l’aggiunta di Matthew Shipp al pianoforte, per una sessione improvvisativa registrata nel novembre del 2022 al Park West Studios di Brooklyn a New York. Water Music è un CD per la speciale etichetta francese della rogueart, una label che solitamente costituisce un’area di sufficiente diversità delle proposte musicali di un musicista e per Perelman questa ipotesi sembra potersi dirigere sulle linee melodiche, materia di sviluppo ed espansione che naviga dal semplice al complesso attraverso le traiettorie della libera interpretazione; nel caso di Ivo è parecchio difficile fare distinguo o impostare linee di demarcazione tra melodie e flussi incontrollati di note, perché il sassofonista è così bravo nel creare continuità ed amalgama nel suo modo di operare che mai riusciamo a capire dove finisce una melodia e attacca un evento improvvisativo. L’immagine dell’acqua presa come riferimento di qualcosa che ‘scorre’ fluida mi fa ricordare eccellenti esempi in materia come il fraseggio classico di Handel, il concerto di Tan Dun o gli innumerevoli riferimenti nel jazz (tra cui a memoria quelli di Liebman, Ibrahim, Henderson), ma resta da capire in che modo Perelman e il suo quartetto la fanno ‘scorrere’ quell’acqua: qui le immagini, pur nella loro imprevedibilità, deducono una condizione del tempo che si lascia al suo divenire, plurime manifestazioni della mobilità mentale dei musicisti; il quartetto di Perelman implica una propria risonanza, si riconosce in un proprio montaggio (real time) e costruisce ipotesi, alternanze o concatenamenti musicali. E’ energia, forza vitale in pezzi che viaggiano a mille come Sound Essence o la title track, significativi esempi di come nella musica di Perelman sia perfetta la giunzione tra capacità tecniche e persino l’interpretazione di una logica delle sensazioni.

Articolo precedenteFestival Milano Musica
Articolo successivoKoenraad Ecker – Raw Materials
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.