Ultima quaterna di pubblicazioni dell’anno del nostro amato sassofonista Ivo Perelman.
Partiamo con Messa Di Voce, un quartetto registrato nel gennaio del 2018 al Park West studios, formato da Joe Morris al contrabbasso, Ramon Lopez alla batteria (la sezione ritmica) e la vocalist Fay Victor. L’incisione ha dato vita ad un doppio CD data la sua lunghezza, ma è tale ampiezza è ripagante. La cantante statunitense è la novità del quartetto di Perelman, un invito che probabilmente nasce da una selezione che il sassofonista avrà fatto nella sua mente, una connessione alle voci preferite del jazz e della libera improvvisazione degli ultimi vent’anni. D’altronde Fay Victor è speciale nel suo DNA distintivo, un timbro di voce caldo e confortante e un’intonazione che gradualmente entra in circolo, caratteristiche che la fanno calare nella storia della musica afroamericana dalle parti di una Jeanne Lee e delle cantanti black alla Nina Simone; a livello personale, Fay si è diretta verso una modalità del canto che negli ambienti hanno chiamato ‘freesong’, derivando questo termine dalla nomenclatura di un pezzo di uno dei suoi progetti più vincenti, il Fay Victor Ensemble, una riappropriazione lucida del ruolo della cantante alla luce dei tempi che va oltre il jazz, lo guarda da lontano considerando il rock, l’apertura teatrale e tanta sostanza improvvisativa senza idioma, dotata di escursioni e vocalizzazioni non convenzionali.
Vale la pena di sottolineare che Messa Di Voce non è l’equivalente di una messa cristiana in termini di costruzione dell’idea musicale, qui il riferimento è diretto alla creazione di un rapporto tra vocalità e musica nel rispetto di una ricerca di una pienezza dell’espressione, in cui l’orientamento spirituale è comunque soggiacente come in tutte le opere di Perelman: l’emblematica One, che apre Messa Di Voce, inizia in punti di piedi come una strana giaculatoria e poi si trasforma in un tour de force ritmico, con Ivo e Fay che si rincorrono nelle soluzioni e negli acuti; la successiva Two è su un livello di libera improvvisazione eccezionale, ancora famelica e selvaggia nel linguaggio, con Perelman che si produce persino in un assolo che ad un certo punto lascia sboccare la sua voce sotto forma di un inaspettato ringhio; grande dinamicità arriva anche da Four, con Perelman sugli scudi e Victor a tenere il passo con gli appunti del suo freesong, capace di creare persino glissandi veloci con la vocalità. Un gran merito della perfetta riuscita dell’espressione è anche l’efficacia della sezione ritmica, che riesce ad essere compatta e in alcuni momenti libera di evolversi con rivelazioni personali del momento. Il secondo CD è un pò meno forbito di sorprese rispetto al primo, più discorsivo, con un paio di highpoint però in Three, dove Victor si inventa un’aeriforme intonazione e Lopez tira fuori una tabla, e in Five, dove la simulazione voce-sassofono assume toni parossistici.
Della serie “qui sono ben accetti solo i predicatori di vita, i sacerdoti del candomblé e gli improvvisatori”.
Di tutt’altro orientamento è Crystal Clear, terzo episodio dei Duologues. Perelman si coordina stavolta con Ingrid Laubrock in un dialogo a due tenori, una vera e propria rarità per il sassofonista brasiliano poiché in tutto il suo percorso artistico/discografico non c’è mai stato una dialogicità con un sassofonista tenore e il motivo è dietro l’angolo, mosso dai rischi di un’operazione del genere. Perelman, invece, ha capito che il ‘doppio’ ha una sua valenza, proprio in termini espressivi, poiché nell’improvvisazione libera ognuno porta la sua esperienza e il suo approccio allo strumento creando delle evidenti differenze.
La loro performance in Crystal Clear è speciale, entra in circolo in maniera subliminale facendoci apprezzare la relazione contrappuntistica, una sorta di ricamo espressivo da vedere come l’equivalente di un dipinto con linee più o meno intense e formazioni astratte che garantiscono un concorso armonico. E’ un cosmo pieno di impulsi creativi quello di Perelman e Laubrock, ma terribilmente esegetico.
Two è già molto chiara sul percorso da intraprendere, con Laubrock che contrasta l’esuberanza del tono di Perelman, con un tono meno intenso; Six è notevole dal lato delle emissioni, con punteggiature, linee melodiche e accenni di scale che si intersecano in un clima idilliaco e comunicativo; Nine è impetuosa, con suoni e timbri difficili da eseguire, che vertiginosamente viaggiano su tutta la scala dei toni.
In breve, un bagno salutare di astrazione espressionista!
Polarity 3 è il terzo incontro con il trombettista Nate Wooley, registrato al Park West Studios nel giugno di quest’anno. L’atteggiamento del duo è stavolta orientato maggiormente alla creazione figurativa, una che è in movimento e astratta, naturalmente. Il concetto di polarità che solitamente si configura come complementarietà degli interventi è qui tremendamente esaltato, portato a logiche estreme e necessarie per individuare una totale unità in un ampio e libero campo d’azione. La figurazione espressiva è il risultato di un’intesa che può viaggiare su un tappeto di armonici (quanto succede in Three, in una produzione di alcuni minuti), farci percepire ombre che si allungano nello spazio (la prima metà, almeno, di Four) oppure costruire una dialettica (le tecniche estese di Five spingono verso le emissioni stridenti e rauche degli strumenti) o ancora subodorare l’ingresso silenzioso in una giungla (in Ten c’è la compressione delle emissioni); in alcuni momenti un pigro idioma di jazz si fa vivo (Eight è eloquente al riguardo), ma in linea generale Polarity 3 resta free improvisation delle più prodigiose, da guardare come un potente strumento per acclarare l’immensità dello spessore artistico dei due musicisti, improvvisatori capaci di estrarre incredibili artifici dal nulla.
L’ultimo del lotto degli albums di Perelman è Supernova, lavoro di improvvisazione ottenuto con il São Paulo Creative 4, un quartetto di sassofonisti brasiliani che si muovono con una divisione timbrica molto vicina alla formula classica SABT. Oltre a Perelman al sax tenore, abbiamo Lívio Tragtenberg a clarinetto basso e sax alto, Rogério Costa al soprano e all’alto e Manu Falleiros al soprano e baritono. Sia guardando i loro percorsi che ascoltando la musica di Supernova si intuisce che i compagni di Perelman sono musicisti molto istruiti e con una sensibilità compositiva, nonostante il risultato della loro collaborazione sia legato ad una sessione di improvvisazione all’Estúdio dos Lagos nel luglio del 2022.
In Supernova c’è voglia di interagire, stabilire un equo rapporto tra melodia e astrattismo e aprirsi alle inaspettate creazioni, un percorso che i quattro musicisti dilatano fino a farlo diventare per definizione ‘cosmico’, ma non nel retorico senso che un disco di jazz potrebbe offrire oggi: pezzi come Planetary Nebula o Black Dwarf smentiscono qualsiasi considerazione sull’idioma, muovendosi invece secondo gli istinti di una instant composition e proiettano la musica in un colorato spazio di autonoma gestazione dove i parametri musicali si concertano per un’emotiva oscillazione planetaria.