“….Il mare è l’immensa riserva della natura: da lui, per così dire, ebbe origine il globo; e chissà, forse con lui avrà fine. E’ suprema tranquillità, perché non soggiace ai despoti, i quali, ancora sulla sua superficie stessa, possono invece continuare ad esercitare iniqui diritti, e battersi, e divorarsi, trasportandovi tutti gli orrori terrestri. Ma a trenta piedi sotto il suo livello, la loro influenza si estingue ed il loro potere scompare! Ah, signore, vivete, vivete in seno al mare… Lì soltanto, c’è indipendenza! Lì, non ho padroni! Lì, sono libero!…” (Il capitan Nemo al professor Aronnax, in Ventimila leghe sotto il mare, Jules Verne)
La citazione di Nemo può sembrare un’egoistica dichiarazione di indipendenza. Invece in essa si trova un modo incredibile per cavalcare i limiti della nostra esistenza. Tutte le arti hanno cercato di sperimentare questi limiti in forme diverse, e la musica, che soffre il maggior carico dell’immaginazione, non è esclusa affatto.
Il contrabbassista modenese Simone Di Benedetto (1989) ha scelto di operare simbolicamente con le profondità del mare attraverso il miraggio degli strumenti misurativi: Depth sounding è il titolo del suo primo solo per contrabbasso, un nuovo lavoro per Aut Records pubblicato ieri, in cui la misurazione acustica delle onde sonore (il sonar che fornisce le distanze dalla superficie dell’acqua) è metaforicamente approfondimento delle qualità soniche del contrabbasso. Con una bellissima evocazione degli argomenti in copertina, Depth sounding contiene 16 brani che compongono un puzzle di direttive apparentemente differenti tra loro e che si mescolano nell’ascolto:
a) l’improvvisazione è tableau vivant, sia che si pizzichi o che si tiri con l’arco, essa è condotta con personalità, trattata come materia sonora in rilievo, mai saturazione bensì mosaico, cesello sul pizzicato alla maniera dei jazzisti introspettivi, ma con una propria espressione (di questo ve ne rendete conto in molti pezzi dall’iniziale Uncoscious a Deep elevation, da First meeting a A dream o Introspection). Questa è la parte “descrittiva” di Nemo!
b) i quattro pezzi della serie Ghost (of air, of water, of fire, of stone) sono incontri inverosimili del timbro e delle tecniche estensive; l’aspetto simulativo viene posto ai massimi livelli di attenzione. La parte “avventurosa” di Nemo!
c) uno spaccato compositivo di Miloslav Gajdos (4 Reflexionen) costituisce la parte centrale del cd, quattro pezzi di melodia ed impasti all’arco che tirano fuori una bellezza trasversale, al limite di un intento mistico. Nemo illustra un quadro della sua nave!.
Con Depth sounding, Di Benedetto fa un salto piuttosto coraggioso rispetto a quanto fatto nei precedenti quartetti devoti al jazz, mettendo a nudo molte potenzialità: dopo la sua segnalazione non ho potuto evitare di discutere con lui alcune impostazioni del lavoro. Vi aiuteranno a capire ancor di più le dinamiche ispirative della sua musica.
EG – Qual è il motivo del riferimento a Miloslav Gajdos?
SDB – I 4 brani in questione sono pezzi a cui sono molto affezionato; può sembrare “banale”, ma sono stati i primi brani che mi sono capitati, durante il mio periodo di studi classici, in cui mi sono ritrovato completamente. Il repertorio per contrabbasso, specie quello dell’800, andava studiato “per forza”, e io facevo fatica ad appassionarmici e a suonarlo con convinzione. Le 4 Reflexionen mi sono capitate quasi per caso (non sono brani particolarmente difficili dal punto di vista tecnico), ma mi hanno affascinato fin da subito. Così quando ho deciso di registrare del materiale in solo, mi è sembrato naturale inserirle. Anzi, ad essere onesti sono state la prima cosa a essere registrata.
EG – Quali tecniche estensive hai usato in Depth sounding?
SDB – Parlare di tecniche estese sul contrabbasso credo significhi immancabilmente parlare o almeno rendere omaggio a Stefano Scodanibbio; dopo la sua scomparsa avevo acquistato da sua moglie i suoi studi per contrabbasso solo, e a distanza di anni, li continuo a trovare un pozzo di ispirazione. Nel disco ho usato armonici a due mani, artificiali, e suoni multifonici; un uso dell’arco non “convenzionale”, come suonare oltre il ponte o fra le dita e il capotasto, suonare usando il legno della bacchetta; scordare lo strumento (nell’ultima traccia l’accordatura è EBbCG, che mi piace molto e uso spesso); anche se nel disco non sono presenti, mi piace utilizzare preparazioni sullo strumento, che comprendono uso di ferri tra le corde, bacchette, mallet, plettri, mollette, e altri oggetti da mettere tra (o con cui stoppare) le corde, spesso auto costruiti.
EG – Fai riferimento a qualche stile particolare o sei vicino a quelli di determinati compositori?
SDB – Il mio percorso di studi di composizione mi ha influenzato enormemente. Ho sempre cercato di portare sullo strumento le tecniche o i linguaggi dei compositori che studiavo e che mi affascinavano. Nello specifico, nel disco ci sono due brani il cui spunto è per me molto evidente: Deep elevation parte da un’idea figlia della Threnodia per le vittime di Hiroshima di Penderecki, o almeno da ciò che ho potuto portare sullo strumento; in Perseveration invece ho preso spunto dalla costruzione di armonie e melodie tipiche di Bartok, cercando di riportare su uno strumento principalmente monodico come il contrabbasso la sua visione poli-modale della musica.