Leonard Bernstein/Tan Dun: Touches and traces

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Warren Lee’s piano recital highlights a common matrix between the music of Leonard Bernstein and Tan Dun: the French music legacy of Chopin and Debussy. But the color and the moods of this music are enriched by idiomatic aspects: American folk, choral works, middle Eastern and Chinese culture and contemporary techniques of making music, too. This precious collection bring us into a temporal sinthesys of 20th century musical history and show us that the pianistic activity of the two composers wasn’t a secondary job.
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C’è un preciso obiettivo dietro questo recital del pianista Warren Lee, da individuare in una ragione comune stilistica della musica raccolta: si tratta di un ampio compendio sull’attività pianistica di due compositori che si sono presi carico di porre degli accenti brillanti nella musica del novecento: Leonard Bernstein e Tan Dun. Per il primo, oltre alla funzione di continuità esercitata nella classica sinfonica, va rimarcato il potente potere sviluppato a favore delle sue origini ebraiche: in tal senso ci fu un’intenso lavoro di raccordo con la coralità occidentale espresso in forme nuove e variabili nel loro contenuto, ma soprattutto si impose uno splendido dialogo con la spiritualità, trattata ora con rabbia, ora con rassegnazione; il fondamento musicale di composizioni come la seconda sinfonia (The age of anxiety) o la terza sinfonia (Kaddish) di Bernstein proietta una grande umanità che è conseguenza di un diverso modo di riflettere sulla musica, in cui il pianoforte (ove inserito nei pezzi) è importante quanto il soprano, il coro o lo speaker di turno: esso alleggerisce il dolce stilnovo di Chopin e Debussy incrementando la base nazionalistica, fatta anche di giri popolari, ciò che succede nelle riproposizioni di Lee dei 4 e 5 Anniversaires, in antitesi con Touches, che invece naviga tra sincopi jazz e perdite di coscienza. L’attività pianistica di Bernstein ha avuto un’ottima sistemazione in passato tramite le registrazioni complete di James Tocco, ma quelle presentate da Lee rientrano nel novero di un’idioma specifico che impone una coordinazione con le vicende di Tan Dun (la raccolta manca comunque di alcuni pezzi tra cui la Sonata).
Per Tan Dun si può invero parlare di una prima sistemazione della composizione pianistica non prevista per impianti sinfonici, che in realtà costituisce un frutto notevole del complesso di composizioni nate per la cameralità: sebbene negli ultimi anni il compositore cinese abbia dato prova di avere notevoli colpi in canna anche nella scrittura per ridotti ensembles (si pensi al Concerto for Six o a quello per String quartet and Pipa) l’afflato pianistico resta uno dei baluardi più invidiati della sua musica. Tan Dun ha più volte dichiarato come la sfida di uno strumento così sfruttato nel tempo come il pianoforte, avesse bisogno di nuovi modi di utilizzo: un primo assaggio è stato fornito da Tan Dun in Eight Memories in Watercolor (scritto nel ’78 con revisioni successive), una composizione entrata nel repertorio di Lang Lang ma di cui la migliore versione è stata fornita da Cheng Wai per stessa ammissione dell’autore, pezzo in cui l’uso dei caratteri musicali orientali mal si conciliava con la tastiera temperata del piano. Se in 8 memories in watercolor quei caratteri dovevano essere scoperti e svelati dalla bravura del pianista nei rivoli della dinamica delle esecuzioni, la piena riflessione orientale venne raggiunta con composizioni come Traces e Dew Drop falls, entrambe presenti in questa raccolta, dove la prima acconsente che la partitura bussi discretamente alle porte delle abitazioni per esercitare il suo influsso mnemonico, mentre la seconda costruisce un’incredibile partitura quasi interamente basata sugli interni del pianoforte usando punta ed unghie delle dita.
L’operazione di Warren Lee, quindi, è tesa ad evidenziare una matrice comune, quella che comprende l’eredità francese, messa in rapporto alle intuizioni e divulgazioni del novecento, senza necessariamente far riferimento ad un periodo storico; i “tocchi” e le “tracce” sono qui interscambiabili, subordinate a dolcezza, compiutezza melodica, istinti folk e shock cageiani (è noto che Tan Dun è sempre stato un grosso estimatore di Cage), tutti fattori che migliorano la riflessione musicale e dimostrano come sia per Leonard Berstein che per Tan Dun il pianoforte fosse tutt’altro che un’occupazione secondaria.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.