Storie di ribellione e volgarità

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masao nakagami julian cope,https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/, no change was made
A proposito della musica rock farcita di sperimentazione quasi sempre si fa riferimento a pochi e riconosciuti personaggi che nel tempo hanno potuto rivelarsi; il nostro pensiero va a tanta gente di cui seguiamo ancora oggi il riflusso, ma esclude alcuni musicisti che una posizione l’hanno presa in egual senso senza avere lo stesso favore critico.

Nel 1984 un ragazzo di Tamworth, Julian Cope, emerse all’attenzione del pubblico rock grazie ad un album super acclamato intitolato World shut your mouth, in cui si provvedeva ad una nuova fusione tra le matrici sviluppate delle chitarristiche sonate dei Byrds e il pop traverso ed atonale di Syd Barrett. Cope bissò in maniera inequivocabile la tendenza revivalistica con St Julian qualche anno dopo, continuando a fornire una serie di lavori di qualità molto vicini ai due citati, sebbene comandati da obiettivi diversi. In Safesurfer, singolo di promozione dell’album Peggy Suicide, Cope per la prima volta in trasparenza realizzò la sua passione e competenza per il kraut rock di marca germanica, indicando nuove strade al suo pop, che in un decennio si era infarcito di funk, garage-rock ed arrangiamenti lussuriosi. Non fu solo l’autore di un libro dedicato a quella scena ma cominciò a coltivarla in proprio in maniera più sostanziosa: mettendo in un angolino la carriera di melodico intrattenitore da stimmate britanniche (l’altro valente melodista che gli contendeva tali esclusivi onori era Robyn Hitchcock), registrò 3 volumi di Rite (’93-’97-’02) che si proponevano di rappresentare “…a series of lengthy, mostly instrumental jamming freakouts influenced by both Krautrock and psychedelic funk…”. L’esperimento fu portato a termine con la collaborazione di Tim Lewis (in arte Thigpaulsandra), un tastierista particolarmente addentrato alle sonorità e tecnologie dei synths, nonché ottimo arrangiatore musicale, sotto la specifica dei Queen Elizabeth. Cope mostrò anche un cambiamento di pensiero, poiché da bardo del pop inglese assunse un atteggiamento verticale rispetto alle conoscenze acquisite; nacque in lui la sindrome dell’uomo colto e rivoluzionario, quasi in simbiosi con le scoppiettanti realtà ideologiche della industrial music; un brano pop non poteva non tener presente quanto si era sviluppato in quell’avanguardia geograficamente tanto considerata. Fu un passaggio in cui maturò la passione per la scrittura e per l’archeologia, acquisendo nel contempo una scontrosa visione del mondo e delle sue principali istituzioni vitali: no alla religione organizzata, ripudio delle licenze discografiche e collera ed intolleranza per le vicende sbagliate della società (che erano comunque già venute a galla nei progetti discografici pop di My nation underground/Peggy Suicide/Jehovahkill). Musicalmente parlando ciò che costituiva la differenza rispetto a tante altre proposte era la sapienza nell’arrangiamento, una qualità che Cope condivideva con Lewis, e che non era sconosciuta a quel giro di musicisti inglesi che bazzicava stessi ambienti ed ideologie: gruppi come i Coil (John Balance e l’ex Throbbing Gristle Peter Christopherson) prendevano il rock in contropiede con la loro miscela di durezza e noise, arrivando ad esprimere un più approfondito legame con la sperimentazione nei due volumi di Musick to Play in the dark; il rock tedesco continuava ad insinuarsi nelle loro operazioni sebbene i temi fossero molto meno cosmici di quanto si pensasse: i riferimenti erano oscuri e andavano dalle profezie apocalittiche alla protezione ambientale, coinvolgendo una letteratura che mirava tanto a Borroughs che a Blake. Lewis, dal canto suo, divenne un factotum di un indirizzo strettamente attinente alla problematica sessuale e all’omosessualità, ponendo questo tema come fondamentale e ambiguo nella sua musica; nei super censurati capitoli discografici dedicati alle relazioni sessuali, Lewis ripropose, accanto ad un ampio ventaglio di strumenti e soluzioni, l’importanza dell’arrangiamento e del suo evidenziarsi: lontani dall’aver avuto un qualche interesse ulteriore oltre a quello della stampa specializzata, i Double Vulgar o il Rape Scene di Thigpaulsandra, rivelarono delle forme musicali interessantissime e quasi antitetiche rispetto alle trame analizzate, dove il rock sperimentale con ascendenza tedesca si rifece vivo come un anatema musicale in cui reminiscenze psichedeliche, lavorazioni elettroniche, passaggi prog o heavy metal e strutturazioni da ambient music non portavano a detronizzazioni di genere nè tanto meno di dignità sonora. Mettendo da parte gli eccessi (sulle immagini pubblicate lo stesso Cope si dissociò dall’amico britannico) e talvolta una certa auto indulgenza nelle durate, non sorprende che a quasi dieci anni di distanza Lewis sia ritornato con un prodotto del diavolo ancora più organizzato e per un etichetta che, per indiretta aspettativa, ne contiene i richiami stilistici: all’Editions Mego le filiazioni elettroniche vanno filtrate anche e naturalmente per l’ambiente rock e The Golden Communication, con le sue trovate e le sue soluzioni, è praticamente perfetto almeno fino a Misery: per qualsiasi ingrediente inserito c’è un beneficio sia che si tratti del Maureen Wilson Quartet o delle coreografie vocali e video di Did he fall? (in cui si evita intelligentemente la pornografia accelerando le immagini), così come succedeva con il Serge Gainsbourg di Love on the beat o nell’Age of Consent dei Bronski Beat.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.