Nel Senegal i principali catalizzatori musicali sono stati Youssou n’Dour e Baaba Maal: attorno a queste due figure è passata una buona fetta della world music centro-africana che è andata per la maggiore in tutto il mondo; negli anni ottanta i due artisti seppero costruire delle prime modificazioni della musica popolare senegalese, da sempre basata sugli schieramenti familiari e impostata sul tenore di quella del Mali. La differenza tra Senegal e Mali, tuttavia, si giocò non solo sulla diversità di rappresentazione popolare, ma anche sull’influenza determinata dall’intervento militare cubano in Angola a sostegno dei Russi: quando nel 1975 l’esercito cubano mandò lì i suoi uomini, la musica del Senegal assorbì più velocemente i ritmi cubani, costituendo di fatto un ritorno inaspettato della musica nera nei suoi presunti luoghi d’origine. Rispetto al Mali, il Senegal sembra aver avuto una maggiore propensione alla sofisticazione soprattutto nello sviluppo delle arti, tant’è che Youssou n’Dour, in una giovanile rappresentazione assieme al gruppo dei Super Etoile de Dakar, pensò bene di accoppiare gli istinti afro-cubani (che già individuavano una ceppo popolare) con la strumentazione ritmica presa in dotazione dall’occidente, in modo che chitarre elettriche e sassofoni potessero integrarsi con la famiglia percussiva del sabar, una proprietà ritmica dei villaggi Wolof (oltre al sabar si rinvenivano dei talking drum ed una serie lunghissima di tam tams di differente nomenclatura, ognuno con uno specifico timbro e ruolo ritmico). Il mbalax di Youssou fece il giro del mondo, contribuendo alla visibilità internazionale del Senegal, finché The Lion, la bomba etnica dedicata alle donne di Shakin’ the trees ed una internazionalizzazione del sound (pop, funk ed arrangiamenti di diversa natura) diedero un cambiamento alla modalità di espressione.
Se Youssou n’Dour privilegiava il fattore ritmico, il cantante e chitarrista di Podor, Baaba Maal, privilegiava quello acustico: dopo aver iniziato a presentare il patrimonio tradizionale Fulani assieme al suo griot, un chitarrista cieco di nome Mansour Seck*, Maal sentì la necessità della fusione occidentale nel ’94 con la registrazione di Firin’ in Fouta, una svolta musicale che ricomprendeva oltre alle consuete origini cubane (salsa in particolare), il raggae e dei legati rap e hip-hop, una sostanza che in qualche modo si conciliava con le stesse velleità di Youssou e del mondo produttivo circostante (attorno a questi artisti c’era gente come Eno o Brook, produttori di tendenza). Gran parte della critica specializzata deprecò il trattamento ricevuto dalla musica, che aveva perso la sua purezza originaria, sebbene non si potesse negare che non tutto era da buttare. Resto dell’idea ad esempio, che il The Lion di N’Dour fosse una contaminazione da leggere in profondità, perché permetteva di assaporare con pieno vigore le qualità artistiche del senegalese (tra tutte l’eccezionale vocalità espressiva) più che nelle registrazioni tradizionali, nonché il presentarsi di alcune idee strumentali totalmente sottovalutate.
Il Super Etoile de Dakar ebbe un ruolo fondamentale anche nel capolavoro di Paul Simon: nel Graceland dello statunitense, Diamonds on the souls of her shoes il mbalax ebbe il suo riconoscimento ufficiale dato che in quel brano il sostenuto corale beneficiò anche della varietà ritmica creata dal gruppo senegalese, prima che rap, hip hop e culture nere cominciassero a prendere il sopravvento. E c’è da chiedersi che ruolo possa avere la produzione nel tenere aggiornata la tradizione, quando arriva un lavoro come The traveller, la recente pubblicazione di Maal che sembra volersi porre in una via di mezzo tra la vecchia misura e il modernismo strumentale: un buon ritorno o un coraggio consumato?
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*il disco che li rappresenta meglio è Baayo del 1991 per Mango R., tra inflessioni ritmiche e strumentali molto vicine a quelle udibili in Mali (l’utilizzo della kora) ed una dignità folk che non conosce stanchezza negli ascolti.