Coloro che hanno vissuto con la gioventù e la freschezza degli ideali dell’escandescenza della musica negli anni sessanta, non possono fare a meno di avere nel proprio bagaglio umano principi e consuetudini che impegnano ulteriori risorse oltre quelle musicali, soprattutto di natura intellettuale. Nella specifica situazione del jazz europeo alla fine degli anni sessanta, sorsero parecchi dibattiti sul modo di intendere la musica, alla luce di possibili guide filosofiche esterne: una curiosa e contrastata tendenza fu quella di accordare un merito nettamente formale alle palate di veleno che lo studioso Adorno mandava al mondo della musica ed in particolare a quello del jazz, di contro ad un verginale aggrapparsi alla visione spirituale e sociale di uno dei poliglotta culturali italiani più importanti di sempre, ossia Pier Paolo Pasolini. In definitiva entrambi furono oggetto di convergenza di un pensiero musicale, sebbene Adorno di musica se ne fosse occupato in maniera estensiva, mentre Pasolini in maniera riduttiva; la convergenza stava nella comune visione dell’arte (ed indirettamente di quella musicale), nei processi della sua liberazione, nella pericolosità delle sue mercificazioni e della sua importanza come ingranaggio del sistema sociale corrente.
Le vicende musicali del trombettista Guido Mazzon ricalcano schemi di approccio indispensabili per comprendere questa aurea età della poetica musicale; c’è un nuovo cd e un nuovo libro (direi quasi inevitabilmente a supporto) che espongono la sua sintesi di argomenti: Neu Musik Projekt è il trio che Mazzon ha imbastito per la parte musicale, trio che lo vede suonare assieme alla clarinettista Marta Sacchi e al percussionista Stefano Giust, mentre Per altre vie, incursioni nella filosofia della musica, sono le circa 100 pagine di un volumetto edito Apollo e scritto assieme al filosofo Guido Bosticco, con cui aveva condiviso già due scritti precedenti*. Diametralmente speculari, le due dimensioni (musicale ed editoriale) ricreano quello che la musica del Novecento non perfettamente allineata ha fornito alla comunità dell’ascolto e che Mazzon ha fatto irrimediabilmente sue. Nell’ambito delle considerazioni musicali Neu Musik Projekt ci rapporta del tentativo di raggiungere una dimensione metafisica, già percepibile alle prime note del lavoro, tramite uno scampanio corredato di emulazioni sonore, un’azione propedeutica alla comprensione delle “altre vie” che scorrono nell’ascolto: la materia del sentire (dove l’ascolto è l’intendere della musica che rigetta la semplice fruizione fisiologica), la complessità del silenzio (“.….esso si espande come un vapore ed occupa tutto lo spazio che incontra…..”), le “relazioni” tra gli improvvisatori (Guido parla di relazioni e rifiuta l’insufficiente valenza dei dialoghi), la grandiosità della partitura visiva (una frontiera didattica imprescindibile per l’esplorazione dell’improvvisazione) sono tutti elementi che tengono in ostaggio una fitta quantità di rapporti dove si mischiano la risonanza, il free jazz, la ricercatezza melodica, il reading letterario, la tecnica astrusa. Mazzon ha più volte ribadito di come la sua visione sia invecchiata rispetto a quello che offre oggi il jazz, ma di come essa possa restare l’unica via per concertare senza nessun pregiudizio l’espressione creativa, su quei presidi necessari ad una corretta funzionalità dell’improvvisazione.
Kierkegaard affermava che laddove i raggi del sole non arrivano si possono comunque ascoltare i suoni ed in tal senso si può certamente arguire che le propensioni sonore di Mazzon, Sacchi e Giust si incurvano per costruire un effetto similare da scovare dentro le colonne d’aria degli strumenti, nella risonanza aggiunta di una percussione metallica o all’interno della lega di una campana.
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Nota:
*gli scritti sono La tromba a cilindri e Il mondo non mi vuole più e non lo sa.