Thurston Moore nei meandri sonici di Chicago

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I complimenti di benemerita attività musicale fatti al chitarrista Thurston Moore si perdono già all’epoca degli esordi con i Sonic Youth: già in quei frangenti Moore dimostrò di essere realmente un chitarrista alternativo quasi imprestato al mondo del rock. I primi due lavori discografici dei Sonic Youth mostravano non solo una faccia musicalmente irretita dal punk e diversa da quello che sarà lo standard del gruppo americano, ma erano tentativi subdoli di catapultare le intuizioni di compositori anacronisticamente al margine della considerazione accademica come Glenn Branca e Harry Partch; tuttavia la gran parte delle monografie dedicate ai Sonic Youth hanno attratto le qualità di Moore esaltandone le doti nell’insieme, anche perché il passaggio storico successivo, ossia l’entrata in pompa magna del gruppo nell’etichetta della SST Record, costituì la nuova fucina del rock alternativo statunitense degli anni ottanta e il prodromo di un’influenza piuttosto diffusa nelle generazioni di musicisti successive in cerca di dissonanze e irrobustimenti del sound anche tramite il feedback elettrico degli strumenti. D’altronde in quegli anni il noise e la distorsione intercettavano un profondo stato di alienazione giovanile.
La parallela carriera solistica di Moore, sviluppata un tantino in ritardo rispetto all’esperienza Sonic Youth, lo ha visto da sempre condiviso tra un personale approccio al rock (molto più sopravvalutato di quello che si possa pensare leggendo la stampa specializzata) e percorsi stranianti basati sulle orme della libertà di espressione più cacofonica e sperimentale; questa sua seconda propensione fu molto ben congegnata nella collaborazione con il batterista Tom Surgal ed il percussionista William Winant in tre episodi probabilmente fondamentali per l’apertura mentale dell’artista: “Klangfarbenmelodie…and the colorist strikes primitiv“, “Piece for Jetsun Dolma” e più tardi “Lost to the city/Noise to nowhere“, lo proiettarono nell’olimpo dei chitarristi più evoluti della Terra grazie ad uno stile convulso ed aperto al parossismo; furono operazioni che suscitarono addirittura l’interesse di Derek Bailey e Nels Cline (che incise con lui un notevolissimo Pillow Wand nel ’97). Da quel momento Moore è entrato in un circolo vizioso in cui non restava nient’altro che andare in avanscoperta e “dimostrare”, talvolta però con canovacci che diventavano risaputi (con molta retorica i progetti, effettuati con nomi anche altisonanti, non facevano altro che rinverdire le relazioni sul noise senza ulteriori approfondimenti).

Per ciò che concerne le prove in solo raccolte in una pubblicazione discografica ed escludendo naturalmente il solismo senza colore della parte rock del musicista (il folk anonimo di “Demolished thoughts” o di “The best day” non sono finanche prove solistiche!), dobbiamo rivolgerci a quello che Moore ha intrapreso solo qualche anno fa, quando ha pubblicato  “Suicide notes for acoustic guitar“, un lavoro in cui la distorsione veniva progettata nei territori della libera improvvisazione, e poi, i ventiquattro minuti senza titolo della serie olandese di Kapotte Muziek e un mediocre tributo alla chitarra 12 corde a Jack Rose (“12-String meditations for Jack Rose“); sarà forse per il fatto che Moore si sia quasi sempre esibito in compagnia, l’attenzione dei media si è concentrata poco sull’analisi del chitarrista senza orpelli aggiuntivi se non quelli della sua chitarra e dei suoi aggeggi accessori: è quello che finalmente succede in Sonic Street Chicago, un live effettuato al Rubloff Auditorium at the Art Institute di Chicago nel marzo del 2014. Non so se si possa parlare di piena maturità dell’artista, soprattutto in relazione ad una prospettiva a ritroso di oltre vent’anni, ma sta di fatto che in questa lunga suite di un’ora di musica emerge un potenziale artistico puro, che scava in fondo all’inventiva cara ai percorsi intricati e in definitiva oscuri dell’artista; Sonic Street Chicago filtra l’influenza feticista dei Sonic Youth, dà spazio ad una più congegnata operazione di improvvisazione libera imperniata sul rumore e sulla contrapposizione acustica, senza legami di tempo e costruzione, con una rinnovata capacità subliminale affidata alla musica che non è conseguenza solo dell’intento di riempire la pellicola di Street del regista James Nares: pur non essendo un cittadino di Chicago, ascoltando la guida di Moore ci si può rendere conto di quante forze agiscano al suo interno: angoli reconditi invasi dalla violenza e dal mistero, quartieri orientali, aree di intensa attività industriale ed oasi di pace temporanea, entrano tutti in un microcosmo artistico che è uno specchio perfetto di espressione astratta della chitarra elettrica.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.