Tre giganti dell’improvvisazione libera franco-canadese s’incontrarono a Parigi nel novembre del 2013 per un concertino in trio: Joelle Léandre, Francois Houle e Benoit Delbecq vennero immortalati in una registrazione di Jean-Marc Fossaut al numero 14 della rue Paul Fort che la Leo R. ha prontamente pubblicato in questi giorni. Delle rispettive carriere dei tre musicisti in queste pagine ho già avuto modo di parlare (basterà che consultiate i miei indici) e certamente non serve fare riproposizioni su eventi e discografie (in verità per la Léandre ho un debito che non so quando arriverà il momento di togliere); quello che invece mi preme sottolineare è che “14 rue Paul Fort, Paris” non sarà per niente essenziale dal punto di vista dell’apporto novizio, ma è infinitamente utile per testimoniare lo stile dei musicisti: in sostanza il fascino di questo concerto sta nel delineare quella sorta di impressionismo dell’improvvisazione libera che caratterizza la perfomance. In una situazione sonora che cerca di giostrare tra la tonalità di brevi passaggi strumentali e l’asettica mancanza di gravità delle forme libere e tecnicamente indotte, i tre musicisti rivelano il loro potenziale; specie nella seconda parte della traccia 2 o in tutto il finale del concerto, si intravedono i momenti più interessanti del trio, quando la presa è evidentemente maggiore e scattano le dovute scintille: è in quel momento che l’ubiquità del suono di Houle prende corpo; che Delbecq attribuisce un significato agli accordi insistenti di un piano parzialmente preparato alla Cage, in cui diventa importante persino il suono ricavato dalla pressione di rilascio dei martelletti interni; che la leggiadra dicotomia tra intelletto ed emozione che l’arco della Léandre solleva, pone quesiti avanzati. Sono i momenti in cui si scopre in tutta la sua efficacia la visione di Leo Feigin: “moody, dreamy, misterious music”.