La musica degli Yodok III è figlia della modernità musicale ma presenta anche le sue differenziazioni: non parla minimale, nè può considerarsi modulare; è parente lontana del noise se con questo ne riconosciamo le sue manifestazioni meno aggressive; differisce dal processing chitarristico del primo Fennesz e condivide molto spesso traiettorie post-rock (anche nella lunga e bellissima titolazione dei brani), sebbene si mantenga sulle falde di una sensibilità elettronica. Ma queste caratteristiche sono sufficienti per decretare la novità e soprattutto un’ulteriore via di sviluppo per l’improvvisazione? “The sky flashes, the great sea yearns” per molti appassionati del jazz si presenterà come un’illusione e un affronto per tutti coloro che delle teorie dell’improvvisazione ne hanno fatto uno stile di vita, sebbene siano consapevoli che approcci tra l’ambient music e il jazz si sono verificati da tempo. Potrebbero solo scorgere, nella casualità di accordi e note, un insufficiente nouvelle histoire. Meno contestazioni si possono fare per la propulsione energetica profusa dai musicisti grazie all’elettronica live e all’amplificazione che permettono di raggiungere una potenza energetica da brivido, che cattura immediatamente come un magnete, ma che non è per niente sgradevole, anzi….è immensamente “serena”.
Tra ambient e jazz: il progetto degli Yodok III
Presentato come tonefloat, a new wave of jazz, è il più cinico tentativo di Vidna Obmana (oggi Dirk Serries) di dare uno spazio teorico alla sua musica. Quella degli Yodok III è un’esperienza che riveste un’importanza singolare, perché costituisce uno dei punti più estremi di connessione tra la sua riconosciuta visuale ambientale e il jazz. Sebbene nel passato ed in modalità differenti ci siano stati già esempi di avvicinamento tra i due àmbiti (si parte da Jon Hassell fino ad arrivare ai Necks e molti gruppi post-rock), il dinamismo profuso dagli Yodok III è qualcosa di particolare perché sconta punti di analogia piuttosto evidenti con l’improvvisazione; innanzitutto nell’impostazione dei partecipanti, quando si percepisce che la batteria di Tomas Jarmyr e la tuba amplificata di Kristoffer Lo coinvolgono nelle tecniche, la formazione specifica dell’improvvisazione. (Lo suona anche un flugabone). Poi nelle forme di pubblicazione: doppio vinile color nero in tiratura limitata (240 copie già sold out) che offre una sorta di citazione di rimando all’era della mania discografica vinilica del jazz, un legame fortissimo, ribadito anche da recenti analisi musicologiche, una sorta di rispettosa riapertura verso un collezionismo consapevole (uno dei più consapevoli di sempre), che aveva nelle logiche del vinile la rappresentazione di fenomeni naturalmente nati ed associati a quel genere.
Il terzo episodio pubblicato autonomamente con il titolo di “The sky flashes, the great sea yearns“ migliora di gran lunga gli albums precedenti ed offre una spettacolare pulsazione musicale che è l’incontro tra fonti battesimali diverse: da una parte una chitarra e una tuba processate che si evolvono con strali dinamici in forma di droni e dall’altra una batteria impazzata e continuamente controtempo che starebbe fisicamente al suo posto naturale in un concerto di Ed Blackwell o anche di Christopher Hrasky; una potenza termodinamica che accompagna le modulazioni di energia dei partecipanti e rendono maestosa la diffusione grazie ad un gran lavoro demandato agli estensori di suono.
ps. i 4 lunghi brani di The sky flashes, the great sea yearns, nonché gli albums precedenti, possono essere ascoltati gratuitamente in streaming su questo indirizzo dedicato di bandcamp (link).