L’avant-folk di Julia Ulehla e Aram Bajakan

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Il dr. Vladimir Ulehla fu un biologo innamorato delle canzoni popolari della Moravia che ebbe il merito di introdurre il grande Henry Cowell alla cultura folk cecoslovacca e permise l’incontro con uno dei suoi più immensi fautori, Leos Janacek; la passione di Ulehla per le sue origini etniche si materializzò su un set di canzoni popolari di un piccolo villaggio ai confini con i Carpazi, di cui riportò con cura le sue melodie cangianti, tristi e fiere allo stesso tempo, emule delle variazioni naturali; aderendo ad una sorta di riporto del seme generazionale simile a quello sperimentato nelle piante, a distanza di cento anni, una sua pronipote si è prodigata per andare a riscoprire questo piccolo patrimonio celato nell’oscurità di alcune trascrizioni, che la maggior parte del mondo musicale avrebbero potuto considerare neutre; Julia Ulehla, cantante classica dirottata nel teatro della povertà di Grotowski, si è cimentata in una presa di coscienza dell’attività del suo avo, riportando a nuovo le melodie psicologicamente frammentate di Vladimir, facendosi accompagnare dal marito, il chitarrista armeno Aram Bajakan, da qualche tempo emerso nel giro dei musicisti della Tzadik di Zorn; l’idea è stata di coniugare il timbro vocale di Julia proiettato verso una miscela di inflessioni mediorientali e dell’Oriente inoltrato) con l’accompagnamento di Aram debitamente impostato verso l’improvvisazione e, come è solito nel folklore slovacco, chiedendo apporto ad un mini set di due violinisti e un gimbri.
“Dàlava” così si avvita tra le maglie del dispiacere o dell’amore in maniera rinnovata, con Bajakan che spesso irrobustisce le strutture musicali, conferendogli una patina di mistero e fascino oppure, attraverso preparazioni di chitarra, uno slancio che spesso manca nelle produzioni tradizionali; la volontà di Vladimir di creare delle canzoni-organismo costituisce il motivo su cui viene impostato l’impegno dei musicisti che, allo stesso tempo, per raggiungere lo scopo, abbisognavano di impianti più innovativi: è quello che viene provato in Ej Làsko Làsko, dove la voce filtrata della Ulehla e l’impianto folk della musica trascinano in un non precisato mondo esogenoo in A Tay Moja Najmilejsi, che assicura il trapianto di un chitarrista elettrico free nelle terre moldave, oppure in Hory Huca, che vede protagonista la distorsione di fianco al canto popolare; la particolare caratterizzazione della voce di Julia (un misto tra un soprano d’opera orientale e Yoko Ono) restituisce al tenore generale del lavoro un accento dal sapore soviet-style, naturalmente con nessuna caratura politica, da riscontrare solo nell’economia musicale e direi sicuramente modernizzato con passaggi folk vividi, un substrato avanguardistico moderato, conforme all’idea di non intaccare il senso della melodia popolare. Questo è percorso alternativo che si affianca a quelli jazzistici di Iva Bittova nella ripresentazione moderna del patrimonio popolare: è una prospettiva musicale che forse non avrà un bis se non sostenuto da interesse d’ascolto, ma rende perfettamente l’idea che le future produzioni etniche possono sopravvivere solo rapportandosi alla realtà e a nuovi connubi tra elementi formativi e geografici diversi: la chitarra di Bajakan, nei suoi funzionamenti americani divisi tra il noise, surf o doo-woop, non disturba affatto i paesaggi grigi di Uhlela. E alla fine si è ben contenti di poter sposare la causa del patriota cosmopolita.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.