Alan Hovhaness: Symphony no. 48

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Hovhaness gave to his symphonies a face perpetually fresh, where the tradition of post-romantic Western music (with his best weapon, the melody) was violated by the intrusion of Byzantine polyphony, the modality of classical Greece and the developments of Indian, Japanese and Korean music. His strength was the ability to describe instrumentally the renewed power of cultural and geografical diversity: the specific location of the composition include a hidden power , the simple immersion in natural forces and in the cosmos as a cultural and spiritual factor, and certainly his “giant melodies” were trying to emulate a sense of omnipotence analogous to a secular and not of a religious visions. The symphony no. 48 is no exception to this rule.
 
 
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Sistemare l’opera del compositore Alan Hovhaness non è un compito facile. Più di quattrocento composizioni hanno fatto da cornice ad uno degli artisti più prolifici della storia classica, materia per cui risulta difficile anche impostare una discografia altrettanto esauriente e completa. Nel corso degli anni diverse etichette hanno provato a colmare le lacune, soprattutto sul versante sinfonico (Hovhaness ha scritto 67 sinfonie) e il compilatore Eric Kunze è stato colui che si è preso l’onere di ricostruire tutta l’attività discografica svolta in favore del compositore americano, che spesso si compone di registrazioni in LP, stampe private e naturalmente cds, (1), ma ancora molto resta da fare specie per i salti discografici che investono le sinfonie (le mancanze maggiori si rilevano dalla 41 alla 45, dalla 54 alla 59).
La Naxos, già dedita alla ristampa di molte opere di Hovhaness, ha pubblicato la premiere mondiale della sua sinfonia n. 48, assieme ad altre due composizioni minori del compositore, non sinfoniche: visto da molti detrattori come un insignificante tassello contributivo allo sviluppo della sinfonia e del reparto orchestrale, Hovhaness va nettamente rivalutato specie quando si pensa che, agli inizi dei novanta, la scorpacciata di atonalità, serialità, alea, etc. che investiva un gran numero di attori negli Stati Uniti era ormai arrivata a fine e l’audience era già pronta per un ritorno a delle sonorità più semplici. Hovhaness, come d’altronde Lou Harrison, hanno acquisito improvvisamente un ritorno di interesse che stranamente non gli era stato attribuito in passato, e la particolarità di questi due compositori fu che essi mantennero per gran parte della carriera, quel contatto tra sinfonia americana e cosmopolitismo musicale; quello di Hovhaness era un cosmopolitismo anche indotto dalle sue origini armene, con inni e melodie popolari che coinvolgevano quasi costantemente la composizione, ma c’era molto altro dentro: a proposito della sinfonia n. 4 Hovhaness diceva “….I admire the giant melody of the Himalayan Mountains, seventh-century Armenian religious music, classical music of South India, orchestra music of Tang Dinasty China around 700 A.D., opera-oratorio of Handel …….“. Hovhaness non dimenticava il passato, il contrappunto barocco, la forza dell’orchestra di Stravinsky, ma era qualcosa di diverso da Le Sacre du Printemps, di profondamente addomesticabile. Diceva “..I felt I didn’t want to be a part of “contemporary music”, I didn’t want to be a part of this very intellectual approach. A very cold approach. I felt….”.
Sebbene ci fosse un interesse non dichiarato alla dissonanza nella sua musica (le otto sinfonie per Wind Band dimostrano al riguardo una peculiarità tutta da scoprire anche in rapporto al repertorio per band sinfonica), Hovhaness diede alle sue sinfonie un volto sempre uguale, perennemente fresco, in cui la tradizione post-romantica occidentale (con la sua arma migliore, la melodia) veniva violata da intrusioni di polifonie bizantine, modalità della Grecia classica, sviluppi di musica indiana, giapponese e coreana. La sua forza stava nella capacità di descrivere strumentalmente il rinnovato potere delle diversità che si scorgeva anche in senso oggettivo attraverso i luoghi geografici specifici: in tal senso la sua musica prevedeva quel potere di immersione nelle forze naturali e nel cosmo come fattore culturale, e certamente le sue “giant melodies” cercavano di emulare il senso di onnipotenza alla stregua della visione di un laico e non di un religioso. La sinfonia n. 48 non fa eccezione a questa regola, e se non sarà particolarmente riuscita ed emozionale come la n. 2 (la Mysterious Mountain), la n. 6 (la Celestial Gate ispirata da Herron di Giovanni) o la n. 11 (All Men are brothers), rende perfettamente l’idea di quello che Hovhaness sapeva fare trasferendo il suo immaginifico pensiero rivolto alla bellezza delle stelle di Andromeda.
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Note:
(1) chi è interessato alla capillare discografia dell’americano può consultare l’archivio a questo link:
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.