Brandon Evans

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foto bandcamp brandon evans
La segnalazione gradita di alcuni lettori statunitensi mi invitava a considerare l’interessante carriera intrapresa del sassofonista americano Brandon Evans. Evans è nato a S. Francisco, dove inizialmente ha imparato il free jazz grazie all’egida di Sonny Simmons. Tuttavia le volontà dell’artista erano quelle di approfondire le relazioni tra jazz e musica colta, perciò egli si spostò ben presto nell’area newyorchese per assistere alle lezioni di Anthony Braxton. Siamo nel 1994, Brandon ha ventidue anni e tanta voglia di innovare. Resta al fianco di Braxton registrando con lui nell’esperienza del Ghost Trance Ensemble, ma contemporaneamente intraprende una propria strada, fatta di tanta esperienza live tra l’America e l’Europa settentrionale, e fonda una propria etichetta discografica la Parallactic.
In quegli anni Evans si divide tra il suo progetto e alcune collaborazioni di peso*: inventa una propria notazione musicale distinta graficamente da quella di Braxton, chiamandola “Ellipsis & Elliptical Axis”, un sistema misto composizione/improvvisazione immediatamente intuitivo evocato in prima approssimazione anche dalle copertine dei suoi lavori. Tale sistema viene esplorato in lungo e largo, dalla dimensione solista a quella in duo (tra essi particolarmente accattivante è quello intrapreso con il suo maestro Braxton), in trio, in quartetto fino all’esperienza orchestrale.
Quanto allo stile le discipline musicali moderne hanno imposto maggiormente una distinzione basata quasi esclusivamente sulla creatività di un canovaccio non originale, poichè i “modelli” sono stati già espressi; ciò è vero soprattutto per il jazz di avanguardia e la classica contemporanea. Evans ne ha uno ridotto all’osso su entrambi i versanti: del jazz coltiva uno spirito improvvisativo impertinente e ruvido, mentre dalla musica colta pesca in dosi massiccie nelle tecniche di estensione; pur essendo impostato sul Braxton più integerrimo (quello rigorosamente diviso tra composizione ed improvvisazione) se ne distacca per via di tonfi e modulazioni veloci al confine tra lo stridulo e il coagulo.
Fa parte degli improvvisatori con un piede negli Usa (accostamenti si potrebbero trovare in Roscoe Mitchell o nel Simmons più proiettato negli “orientalismi”) ed un altro all’Europa, penso soprattutto a Parker (soprattutto in materia di emissioni basate sulla respirazione circolare) ed escludo la radicalità di Brotzmann. Qualche differenza emerge nell’attività “compo-impro” svolta nel più emotivo jazz del quartetto di Simmons, che si sposta naturalmente sull’aspetto improvvisativo. Ma ad ogni modo, così come succede in questi casi, viene mantenuto sempre un standard alto e soprattutto coerente al tipo di ambiente sonoro.
Evans è spesso alla ricerca del “monumentale”, ed in questo trae un significativo insegnamento da Braxton, poichè ha avuto cura di raccogliere il tanto materiale disponibile per creare lunghi oggetti del piacere con l’ulteriore requisito della loro fattibilità fisica; tuttavia, in ossequio alle moderne tecniche di distribuzione dei prodotti musicali, Evans si è deciso a pubblicare on line quasi tutta la sua preziosa discografia; se l’intento monumentale è un percorso di cui non oso discutere, specie in relazione alla mancanza di tempo da dedicare agli ascolti, quello tendente ad una dimensione riassuntiva della sua musica dà l’idea di concentrare il potenziale dell’artista e forse mi dà più indicazioni. Brandon ha pubblicato in sole 200 copie un box di 15 cds dove apprezzarlo esclusivamente come solista e pluristrumentista valente ai fiati, che passa con disinvoltura dal sax alto al soprano, dal tenore al clarinetto, dal clarinetto basso al contralto, sempre con ottimi risultati.
L’ultimo lavoro dell’americano, “Harbors“, sposta le coordinate sul sopranino in un trio con la pianista Darlene Mancinia e il contrabbassista Edward Snave e condivide “stranezza” allo stato puro, un pò come si può arguire dai suoi dipinti che talvolta compaiono su alcune covers di suoi lavori; si percepisce un’artista astratto, con una vitalità pronunciata ma condensata nei colori, spesso accompagnata da inquietanti figure. Il merito sta anche nel lavoro di Mancinia che usa un piano preparato quasi annichilito e di Snave che dispensa ambientazioni al limite del lugubre, ma il vero high point di “Harbors” è la “Composition 247” dedicata allo scomparso Roy Campbell, in cui affiora la creatività vera del progetto.
Questo articolo è un vero invito a scoprire questo ottimo musicista piuttosto sottaciuto dalla stampa, schiacciato forse dalla personalità dilagante (e presente) dei suoi maestri; a maggior ragione nel suo caso poichè la quasi totalità della sua musica è disponibile gratuitamente o name your price sul suo sito bandcamp. Qualche registrazione non sarà forse di qualità, ma la bravura e la coerenza del sassofonista, dovunque si vada, emerge a caratteri cubitali.
Discografia consigliata (tutti Parallactic R.):
-Recurring Moons Quartet 1996-1997
-Elliptical Axis 5, Quintet NYC 1998
-Elliptical Axis 15 (Vol. 1-3) 2000, duo con Braxton
-Brandon Evans live at CBGB 2003, con il gruppo di Simmons, The Internal Renegade Society
Per quanto riguarda le registrazioni in solo si può far affidamento al box Brandon Evans (solo saxophone) Brussel 1999 oppure andare su questi solos riassuntivi omogeneamente distribuiti per strumento:
-Brandon Evans solo at Century Theater NYC 1997 (sax tenore e clarinetto)
-Elliptical Axis 107-108 (solo alto sax)
-Nine solo compositions for soprano saxophone at Wesleyan 1994
-Nine solo compositions for c-soprano saxophone & bass clarinet 1998
-Forgiveness – solo contralto clarinet (live in Brussel 1999)
*oltre che con Simmons (a cui produrrà anche un documentario), suona con Andrè Vida, Hildegard Kleeb, Taylor Ho-Bynum, Seth Misterka, Jackson Moore, Harris Eisenstadt, Allen Livermore, Chris Matthay e Kevin Norton. Con Vida fonda anche il CTIA (Creative Trans-Informational Alliance).