Tran(ce)formation quartet: Nautilus

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Non sono certamente pochi i musicisti che nel passato ha sfruttato una formula variabile di improvvisazione jazz: operazioni in cui la stessa costituisce una struttura cangiante in cui, quasi naturalmente, essa si trasforma in libertà sperimentali o al contrario si avvicina al modello di consumo tramite umori progressivi. Le scoperte migliori spesso sono arrivate dalla mancanza di definizione delle forme o dall’abbinamento di semplici linee melodiche: in quest’ottica va collocato il lavoro dei Tran(ce)formation Quartet, quartetto costituito dalla flautista Giorgia Santoro, il contrabbassista Marco Bardoscia, Adolfo La Volpe alle chitarre e Pippo D’Ambrosio alle percussioni, che dopo l’esordio per la Leo R. (ossia la voglia e la speranza di essere lanciati nel mondo dell’improvvisazione internazionale), pubblicano per la piccola label pugliese Workin’ Label, il loro secondo sforzo discografico: “Nautilus” continua il discorso intrapreso con “Entrance“, ossia quello di imbastire un universo dell’improvvisazione basato sul gesto strumentale, su un plurietnico afflato di elementi sonori, su una caratterizzazione sognante dei suoni (articolati in maniera da far risaltare i singoli timbri e l’espressività degli strumenti) che pensa alla sonicità ma non è sonico, che guarda con interesse alla spiritualità ma non è spiritualità; la realtà che si vuole configurare assomiglia invece a qualcosa che ha a che vedere con la capacità di stabilire e rappresentare un “flusso” di idee musicali in cui esaltare le potenzialità descrittive degli strumenti e metterne a nudo i versanti geografici. E’ qualcosa che respira l’aria della musica dei settanta, del fascino esotico di flauti, sax e percussioni, e li riposiziona in una bella fiaba sonora.
La direzione progressive è piuttosto condivisa con un’impostazione jazzistica concreta: specie nei brani più lunghi quel flusso di idee vuol essere solo una dimostrazione artistica e relazionare l’improvvisazione con il più potente degli strumenti, quello utile per esercitare fascino: la forza dell’assolo. Qui quest’ultima non dev’essere intesa solo come potenza o esaltazione della dinamica strumentale, ma anche come capacità di atteggiarsi nel riscontro profuso dell’eccezionalità tecnica (in “Nautilus” in aggiunta viene ospitato il sassofonista Roberto Gagliardi che tra “Ninna Nanna” e “Gold Ochre, blue violet” esibisce alcuni essenziali ed eccellenti assoli che formano probabilmente l’highpoint complessivo). Il flauto della Santoro, carico di influenze storiche (barocco, classicismo, third stream jazz, progressive rock, new age) è una manifestazione post-moderna dello strumento che potrebbe essere l’inizio di una giusta sintesi a tutto quello che da tempo la new age music (intesa come insieme di elementi) non riesce più a trovare.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.