Julian Anderson illuminato nell’orchestra

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London, Barbican Hall, London Symphony Orchestra, Source Own work Author User:FA2010, public domain
La musica contemporanea inglese è una sorta di cavallo di razza che propugna un cuore anche europeo: tra i più dotati compositori del suo paese, Julian Anderson ha avuto già modo di delineare il suo stile che può essere analizzato a due livelli: da una parte ci sono le influenze e gli studi che portano Anderson ad avere un ruolo privilegiato nell’àmbito della composizione orchestrale; l’inglese ha da subito messo in evidenza la “potenza di fuoco” che possiede la sua ispirazione in quel settore, rifacendosi solo parzialmente ai modelli del novecento: si parte dalla forza dei raddoppi di Stravinsky, si attraversa tutto l’ambiente sonoro delle caratterizzazioni che furono d’appoggio alle inclinazioni seriali di Boulez, e si tiene presente anche la lezione degli spettralisti francesi per via di un ricorso frequente alla materia armonica. Si diceva parzialmente perchè nel dna del compositore ci sono alcuni elementi specifici che gli appartengono: innanzitutto un equilibrio fantastico nell’assemblaggio delle parti ritmiche e dinamiche, un senso musicale dello “stordimento” che è tutto fascino per le orecchie e soprattutto il supporto indispensabile della sezione fiati (particolarmente ottoni e flauti) che spesso conferiscono alle composizioni uno stato di allerta che rammenta manifestazioni o combattimenti medievali.
Il secondo livello riguarda la geografia della musica: Anderson ha confermato più volte di essere stato da sempre interessato alla musica etnica, intendendo con questa però un’orizzonte vario che va spalmato su più fronti e di cui potreste anche non accorgervene per via della condensazione: si fa riferimento all’est europeo per poi continuare nel comparto asiatico: vedi i dettagli che intervengono nell’orchestrazione degli splendidi attriti di Khorovod o in quelli di Eden, dove si possono realmente riscontrare quelle semplici ma intriganti aggregazioni di suoni alla Brancusi (per usare un’espressione di Cage) così come Alhambra è depositaria delle influenze arabo-bizantine. Dice John Fallas nelle note di copertina di “Book of hours” “….like Bartók and like Messiaen, Anderson finds in the world a source of potential models and diverse causes for celebration: the songs of the birds, the folk music traditions of Eastern Europe and elsewhere, the bells and other sounds of worship and communal ritual which persist here and there in a world closer to home….”
Sta di fatto che questi elementi contribuiscono ad una gradevole fruizione della musica di Anderson, dove il senso di sospensione tipico della strutture seriali è dominato dalla ricchezza della partitura e dei suoni. Penso che chi suona la sua musica debba provare un intenso piacere: è quello che succede ai musicisti della London Philarmonic Orchestra diretti da Vladimir Jurowski e Ryan Wigglesworth nella recentissima pubblicazione del trittico “Fantasias/The crazed moon/The discovery of heaven“, in cui si riproducono tutti i dettagli della sua musica.
Discografia consigliata:
ANDERSON, J.: Book of Hours / Eden / Imagin’d Corners / 4 American Choruses / Symphony, Nmc
ANDERSON, J.: Alhambra Fantasy / Khorovod / The Stations of the Sun / The Crazed Moon / Diptych (London Sinfonietta, BBC Symphony, Knussen), Ondine
ANDERSON, J.: Fantasias / The Crazed Moon / The Discovery of Heaven (London Philharmonic, V. Jurowski, Wigglesworth), LPO R.