Chi insegna nei seminari di improvvisazione il rapporto tra suono ed immagini sa benissimo quanto importante è anche fornire lo spunto concreto affinchè questa relazione si ponga in contatto con la creatività del musicista. Non si tratta solo di relazionare i suoni, ma porsi nell’ottica di quello che il musicista vuole esprimere: uno dei punti più controversi in materia è probabilmente quello che riguarda il significato concreto dei titoli assegnati alle improvvisazioni; se molti ritengono che questo elemento non è assolutamente necessario e che bisogna dare solo un giudizio alla bellezza astratta dei suoni, altri (come il sottoscritto) ritengono che quell’elemento sia un elemento in più utile per accendere la luce della comprensione e verificare quello che dell’improvvisazione libera non si è mai capito, ossia la subliminalità degli argomenti musicali; il pianista Nicola Guazzaloca in questo suo nuovo episodio discografico per la Amirani già dal titolo inserisce un programma di ascolti: “Tecniche arcaiche” sottintende il fatto che i suoni instabili e atonali che hanno caratterizzato il metabolismo dell’uomo nei secoli siano i più “moderni” suoni possibili e tutti gli sketches composti in 18 brani di un paio di minuti in media rappresentano idee creative (anche poco convenzionali) trasposte perfettamente in plastici sonori. L’abbinamento alle immagini e al programma richiama in effetti un principio di romantica memoria a cui già da tempo non si dà più credito: ma inserirlo in una improvvisazione libera non è uno scandalo; il merito di Nicola sta nel fatto che rende chiarissimi i concetti, armonica la struttura complessiva inarmonica, e per i malpensanti (termine quest’ultimo ottenuto rielaborando al contrario quello usato in uno dei brani qui pubblicati) definisce anche l’aspetto virtuosismo, che si svolge a metà strada tra la tastiera del piano e l’interno del pianoforte fornito di adeguati oggetti; questi sono mondi espressivi tutti da seguire, da apprezzare che costruiscono un solido che non ti stanchi mai di rigirare: in “Tecniche arcaiche” c’è una creatività debordante che è degna degli approfondimenti metafisici sul piano partiti da compositori come Cage, che passa da Monk e dai pianisti free jazz umorali ed in cui emerge in maniera chiara uno stile tensivo (composto da clusters indovinati, grappoli velocizzati di note, un’esplorazione interna del piano tesa a cogliere la giusta rappresentazione dei pensieri) che dichiara a caratteri cubitali che cosa vuol dire assegnare un “carattere” nella musica.